Corruzione in Italia: per combatterla servono poche leggi e tanto web

Siamo al 69esimo posto della classifica di Trasparency International, ultimi in Europa soltanto prima della Grecia. Uno spreco per il Paese che ci costa 60 miliardi di euro

La notizia vi sorprenderà: la corruzione nel settore pubblico e politico non è un’esclusiva italiana. Nel mondo, sommando le varie statistiche a livello nazionale e globale, si arriva a quasi un cittadino su quattro chiamato in causa a proposito di una tangente. Richiesta e non pagata, richiesta e pagata, richiesta e concordata ma non andata poi a buon fine. Di fronte a un fenomeno planetario, endemico nella storia dell’uomo prima ancora che nella cronaca quotidiana, gli Stati, anche quelli dove la corruzione continua a crescere ed a dilagare, hanno messo in campo un sistema di contromisure fondato su due strumenti essenziali: leggi anticorruzione e autorità indipendenti. Come in Italia. Eppure noi siamo al 69esimo posto della classifica di Trasparency International, ultimi in Europa soltanto prima della Grecia (la Francia è numero 22 in classifica e la Germania numero 12), e ben dietro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dove pure gli scandali tipo Expo non sono certo sconosciuti. D’altra parte l’emergenza Italia è racchiusa in un solo numero: i 60 miliardi di euro del costo della corruzione (politica e nell’area pubblica) che valgono da soli la metà dell’intero costo, 120 miliardi di euro, rilevato nel perimetro dell’Unione.

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Esiste ormai una letteratura, sempre aggiornata dalla cronaca e dalla ricostruzione dei precedenti, sui motivi specifici di una corruzione made in Italy così dilagante. Ma se gli strumenti di contrasto, sulla carta, sono analoghi e se non vogliamo cedere alla tentazione qualunquista di autodefinirci un popolo di corrotti e di corruttori, è più utile andare a vedere, attraverso alcuni casi nel mondo, che cosa sta cambiando nella lotta alla corruzione e che cosa rischia di fare realmente la differenza. A partire, per esempio, da un deterrente fondamentale: il coinvolgimento di quelli che potrebbero essere, sulla base dei loro comportamenti le vittime o i carnefici della corruzione.

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Chi collabora contro la tangente. La figura centrale del collaboratore anti-corruzione nel mondo anglosassone, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, si chiama whistleblower, cioè colui il quale denuncia un illecito. Una volta riconosciuta l’attendibilità delle sue affermazioni, viene protetto in tutti i sensi, non solo dal punto di vista dell’incolumità personale, e poi viene gratificato. In America un whisleblower riceve fino al 30 per cento di quanto poi lo Stato recupera, in tempi breve e certi, o come sanzione pagata dai colpevoli della corruzione o come accordo con i responsabili del reato. Attenzione: il whisleblower spergiuro, pensiamo a chi cerca vendette o depistaggi, viene punito in quanto tale e rischia la galera.

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Poche leggi, ma efficaci. Le norme anticorruzione nei paesi ai vertici della classifica di Trasparency International (Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia) sono poche, semplici, chiare. E non si cambiano, o si discutono, ogni anno. Il contrario dell’Italia, dove l’ultima legge anticorruzione risale al governo Monti, stiamo parlando dell’ottobre 2012 e di un iter parlamentare durato tre anni, e adesso, sull’onda dei fatti Expo, si discute già di una nuova legge-riforma a partire dalla proposta depositata dal presidente del Senato, Pietro Grasso. Tante leggi, talvolta spot secondo la definizione di Raffaele Cantone che certamente in questo momento è l’uomo giusto al posto giusto, e pochi strumenti o poteri reali. Tanto che lo stesso Cantone, a proposito del suo ruolo nella partita Expo, ha detto di non essere disponibile a “fare gite a Milano”. Al contrario, in diversi Paesi occidentali, compresi quelli europei, esistono agenti, o unità operative specializzate in questa funzione, che  si occupano perfino di “infiltrarsi” all’interno dei meccanismi decisionali per prevenire fenomeni di corruzione o smascherarli prima che sia troppo tardi.

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Poca burocrazia, più trasparenza. C’è un rapporto direttamente proporzionale, statisticamente dimostrato, tra il numero delle leggi con la relativa macchina burocratica che le accompagna e la corruzione. Più si gonfiano le norme, e gli organici di chi le interpreta e le applica, e più volano tangenti. Non a caso, a proposito sempre della classifica  di Trasparency, in Italia soltanto nel Parlamento, non parliamo poi di regioni, province e comuni, si fanno e si approvano, mediamente, il doppio delle leggi rispetto alla Germania, alla Francia e alla Spagna, e il triplo rispetto al Regno Unito. Al contrario, in questi paesi, e tanto più negli Stati Uniti, la rotazione ai vertici dell’apparato pubblico è molto più frequente, e rappresenta un ottimo deterrente contro vecchi e consolidati vizi. E, a proposito di leggi non inutili, esistono norme e chiare che regolamentano l’attività dei lobbisti.

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Avanti con il web. Se c’è un versante, nel mondo, dove gli strumenti della lotta contro la corruzione si stanno decisamente aggiornando, questo è il web. In un Paese soffocato dalle tangenti, l’India, una vera svolta è maturata attraverso l’esplosione del fenomeno I paid a bride, Ho pagato una tangente. Si tratta di un sito, www.ipaidabride.com, che raccoglie le storie, selezionate dalla redazione, di chi ha dovuto pagare, chi non ha pagato e chi non ha dovuto pagare. Ovviamente gli autori sono anonimi, ma la denuncia funziona e oggi il sito ha messo in rete 669 città dell’India, con milioni di visitatori al giorno. Il format è stato importato perfino in Paesi africani, come lo Zimbawe, la Nigeria e il Kenya, dove la corruzione è all’ordine del giorno. Infine, in Corea del Sud ciascun cittadino-contribuente, in regola con il pagamento delle tasse, può attraverso un semplice clic sapere per ogni amministrazione pubblica quanto e come si spende per ciascun contratto o gara d’appalto. Non sarebbe una buona idea anche per l’Italia? E forse per applicarla non bisognerebbe inventarsi l’ennesima riforma anticorruzione.

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