A Roma mancano ambulanze e personale, e si può anche morire in attesa dell’intervento del 118. A Palermo, invece barellieri e infermieri sono pagati per non fare nulla. Devono restare a casa, dove arriva lo stipendio. La paradossale situazione, in una regione come la Sicilia dove il servizio pubblico sanitario funziona molto male, è stata denunciata da una relazione sottoscritta da Giulio Guagliano, presidente del Consiglio di sorveglianza che sovrintende al servizio del 118 nel capoluogo siciliano.
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«Qui ci sono almeno 600 persone di troppo che paghiamo per non fare nulla», denuncia Guagliano. Il personale in esubero si è andato accumulando nel corso degli anni a colpi di piccole sanatorie e trasferimenti da altri enti pubblici in via di liquidazione. Da un carrozzone all’altro, con il piccolo particolare che in questo modo si è gonfiato l’organico di un servizio essenziale per la comunità, il 118 appunto, diventato una sorta di sversatoio di manodopera che nessuno sa bene dove mettere e come utilizzare.
Gli amministratori delle ambulanze hanno tentato di portare avanti un piano razionale di riutilizzazione della manodopera in eccesso, puntando a ricollocarla nelle Asl e negli ospedali dove invece i vuoti negli organici sono all’odine del giorno. Apriti cielo. I sindacati hanno fatto le barricate e il piano è stato cestinato. Con l’unico risultato che barellieri e infermieri restano a casa e ricevono lo stipendio.
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Le ore finora pagate senza lavorare, secondo i calcoli di Guagliano, rappresentano un costo, anzi: uno spreco, di oltre 10 milioni di euro l’anno, ma la cifra è destinata almeno a raddoppiarsi entro la fine del 2013. Con un’ultima anomalia registrata dal presidente del Comitato di sorverglianza: il personale pagato senza lavorare risulta occupato negli uffici, con ruoli amministrativi. Ecco perché, nonostante il gonfiamento degli organici, il 118 a Palermo è un punto interrogativo: quando lo chiami non sai mai quando e chi risponde.
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