Entri in un negozio e la commessa, che non abbiamo mai visto nella nostra vita, ci accoglie con domande dirette e precedute da un secco tu. Come se fossimo fratelli, o amici di vecchia data. Stessa scena al bar. O in strada quando ci viene chiesta un’informazione: il tu, in questo caso non viene neanche preceduto da un rituale «per favore» o «mi scusi». Tutto diretto, tutto immediato.
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Quando dare del tu?
Stando ai suggerimenti dell’Accademia italiana del galateo, ed a quello che si è tramandato per generazioni, il tu non va usato appena si conosce una persona. Anzi. Serve gradualità, e talvolta, come nel caso di interlocutori anziani, il consenso dell’altro, che garantisce un’ovvia reciprocità. Il tu implica familiarità, con parenti, amici, colleghi di lavoro, e mancanza di gerarchie (con i superiori è sempre preferibile il lei).E il passaggio dal lei al tu va fatto con leggerezza, come un cambiamento naturale nell’approccio linguistico con un’altra persona. Nel tempo questa saggia e codificata prassi è stata stravolta da un uso improprio e debordante del tu. Segno di una maleducazione in costante aumento, di una perdita di senso del dizionario, della grammatica dei rapporti umani per effetto del virus del presentismo, dello smarrimento di ogni memoria storica (era quello che pensava Umberto Eco analizzando il fenomeno che ci appare ogni giorno più netto).
Abuso del tu
Quante volte vi è capitato di restare piuttosto sconcertati di fronte alla facilità con la quale una persona, appena conosciuta, passa immediatamente a darvi del tu? Oppure vi scrive una mail come se fosse un fratello, una sorella, un cugino di primo grado? Tante, ne siamo convinti. Così come è evidente lo spreco che sottintende un atteggiamento di questo genere: una perdita di senso e di significato delle parole. A partire dalle più utili ed essenziali nei rapporti di buona creanza, buona relazione umana, buona capacità di creare una sana empatia tra le persone. Le basi della civiltà dello stare insieme, in uno stile di vita davvero sostenibile. Non facciamo i nostalgici. E accettiamo di buon grado alcuni cambiamenti, anche nel linguaggio corrente: non serve a nulla rimpiangere l’epoca nella quale i figli davano del voi, un rispettoso voi, perfino ai genitori. Il mondo è andato avanti ed è bene che sia così. Ma c’è un limite, invalicabile, da non attraversare, ovvero il sovvertire ciò che appartiene di diritto a un eterno galateo e anche a una componente fondamentale dell’educazione, individuale (si chiamano buone maniere) e collettiva (si definisce “civica”). Come ci si rivolge al prossimo. Capita sempre più spesso: conosciamo una persona e dopo pochi minuti, zac, inizia a darci del tu. Come se appartenessimo a una delle tre categorie alle quali questo pronome così informale viene riservato per consuetudine e per galateo: familiari, amici, colleghi stretti di lavoro. Allo stesso tempo, e con un percorso inverso, il lei, generalmente destinato ai rapporti più formali, sta diventando sempre più sporadico, mentre il voi, che pure aveva una sua musicalità e una sua interpretazione non solo lessicale (il grande rispetto per l’altro), è praticamente scomparso.
L’importanza di dare del lei
Questo gioco dell’oca con i pronomi più usati nel corso della nostra vita quotidiana, altro non è che un ennesimo segno di un imbarbarimento della lingua parlata, del quale abbiamo ragionato in altre occasioni. L’italiano sin sta sempre più eclissando, e questa stretta e inconsueta familiarità di rapporti, subito regolati dal tu, ne tracciano inesorabilmente il declino. Il lei innanzitutto è un gesto di pudore e di rispetto per l’altra persona. È un modo delicato non per marcare le distanze, ma semmai per rafforzare un legame appena costituito. La forzatura del passaggio immediato al tu fa evaporare questa chimica delle relazioni umane e riduce tutto a un’indistinta marmellata di rapporti. Dove non esiste più alcuna gerarchia di affetti, di amori, di considerazioni. Il lei non esclude la stima per l’altro, e tantomeno sentimenti più intensi. Ho un carissimo amico, uno dei più cari della mia vita, al quale sono legato da circa trent’anni, e con il quale ci rivolgiamo, reciprocamente, ancora dandoci del lei. È un nostro codice di affetto, un segno unico e distintivo del legame speciale che ci unisce. Un modo per rimarcare la sua unicità. La deriva del tu, ovviamente, è stata forzata anche dall’invasione tecnologica e dall’aumento esplosivo di quelle comunicazioni sul web, dalla mail al messaggio elettronico, che iniziano di solito con un generico ‘Ciao’. Un modo anche piuttosto rozzo di salutarsi e di introdursi tra Io-utenti più che tra persone: come il tu a raffica, che ci rende tutti più uguali, ma anche tutti più separati. Umberto Eco, che di lingua scritta e parlata se ne intendeva, a proposito dell’esagerato e sprecone uso del tu, lo definiva come «una finta familiarità che si trasforma in un insulto». Ecco, chi esagera con il tu sta travalicando un confine del linguaggio ed è entrato nel territorio degli insulti. Garbati, ma sempre insulti.
Cosa significa dare del tu?
Il tu, quando viene dato dalla persona giusta al momento giusto, indica diverse cose. Un salto di qualità nella relazione umana, nel rapporto tra due persone. Una familiarità. E anche un rispetto verso l’interlocutore, con il quale si stabilisce una relazione paritetica. Tutto evapora quando l’uso del tu diventa forzato e scontato, eliminando le alternative del lei e del voi previste nella ricchezza della lingua italiana. Tornando alle obiezioni di Eco, il famoso semiologo e scrittore sottolineava come l’invadenza del tu portava a un impoverimento della memoria e della conoscenza culturale. La prima distorsione avviene dimenticando i vari modi con i quali è possibile rivolgersi agli altri, e passando poi da un’anomalia all’altra. Si parte dal tu per intavolare una discussione, e si arriva al ciao al momento di salutarsi (e non arrivederci). Quanto alla perdita di conoscenza culturale, Eco faceva l’esempio degli immigrati. Proprio in quanto svantaggiati in termini di conoscenza della lingua, gli immigrati sono abituati a rivolgersi agli altri, indifferentemente, con il tu, e a salutare tutti con una sola parola. Ciao.
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