«Every drop counts» (ogni goccia conta) è il messaggio che una nota catena di alberghi trasmette in bella evidenza ai suoi clienti quando aprono un rubinetto del bagno. L’acqua è un bene essenziale per la vita umana che sappiamo sta diventando scarso per via della crescita della popolazione e del sovrasfruttamento. La sensibilità dell’opinione pubblica sul tema sta progressivamente aumentando e un caldissimo fronte di dibattito resta aperto. Quello che è certo è che – contrariamente a quanto ritiene chi, senza ragionare troppo, applica concetti manualistici di economia – non saranno i prezzi a risolvere con il loro innalzamento il problema della scarsità dell’acqua, anche perché questo meccanismo funziona quando è possibile passare dalla risorsa costosa a un sostituto meno caro. E nel caso dell’acqua non ci sono sostituti.
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In parallelo, sempre più ricca sta diventando la cassetta degli attrezzi delle iniziative che possiamo porre in essere per rendere più efficiente il consumo di questa risorsa. Progressi ci sono stati sul fronte degli indicatori con la diffusione della misura della water footprint, ovvero del numero di litri d’acqua necessario per produrre un determinato bene. La water footprint può variare anche in modo drastico rendendo una determinata produzione più o meno efficiente dal punto di vista del consumo idrico in diverse aree del pianeta (fare agricoltura in Africa può costare fino al doppio in termini di litri che nelle valli trentine). È inoltre ben noto che esistono tre tipi di acqua (convenzionalmente detti verde, blu e grigia): l’acqua verde è l’acqua piovana, l’acqua blu è quella di falda, potabile e di migliore qualità mentre l’acqua grigia è quella che si contamina perché utilizzata per trattare l’inquinamento e le sue conseguenze.
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Una delle direzioni più importanti per l’uso efficiente dell’acqua dovrebbe essere proprio quella dell’uso multiplo. Si calcola che abbiamo bisogno di acqua blu (potabile) solo per il 13% degli usi civici complessivi mentre ancora oggi quasi tutti gli usi civici (compresa, per intenderci, l’acqua del water) utilizzano acqua potabile. I progetti di risparmio di acqua e le applicazioni già pronte sono molteplici e potrebbero consentire risparmi importanti. Nel settore civile si progetta in modo sempre più accurato la costruzione di abitazioni in grado di utilizzare nel modo più efficiente acque verdi per molti degli usi domestici. Nel settore industriale, inoltre, esistono già oggi interessanti migliorie pratiche come quelle di città danesi dotate di una una rete di riuso, riciclo e scambio di fabbisogni di acqua ed energia fra imprese di diversi settori in grado di ridurne drasticamente i consumi complessivi.
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Il problema però sorge quando passiamo dalla cassetta degli attrezzi delle applicazioni tecnologiche al sistema antropico, ovvero alla complessità della realtà socioeconomica in cui viviamo. La domanda fondamentale che ci guida in questo delicato passaggio è: perché le tecnologie migliori per l’uso efficiente dell’acqua se sono disponibili non si applicano? Per trovare la risposta dobbiamo studiare i comportamenti e le interazioni tra esseri umani e organizzazioni sapendo che entrambi rispondono a incentivi monetari, ma anche a motivazioni intrinseche e a idealità profonde. Al solito, i regolatori non hanno spesso la benevolenza e la forza contrattuale necessaria per imporre soluzioni ottime per la collettività su questo come su altri fronti. E rischiano di essere “catturati” dai regolati. La spinta decisiva può arrivare solo da un salto in avanti di responsabilità di cittadini e imprese, che utilizzino al meglio gli avanzamenti in materia di conoscenze tecnologiche e di costruzione di indicatori descritte in precedenza. I cittadini dovrebbero pretendere l’informazione sulla water footprint dei diversi prodotti e “premiare” – con i loro consumi – le aziende migliori in ogni settore.
Continua a leggere l’articolo di Leonardo Becchetti su Avvenire
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