Chiaramonte Gulfi è un piccolo paese di ottomila anime nel ragusano, uno dei tanti comuni del Mezzogiorno basato prevalentemente su agricoltura, olivicoltura e viticoltura, al punto che persino nel portale ufficiale del Comune si legge la dicitura di “città dell’olio”. Non è raro che, nell’indifferenza delle istituzioni e nel silenzio complice di una filiera troppo spesso senza controllo, si verifichino casi di semi-schiavitù dei lavoratori del settore, o di vere e proprie forme di capolarato.
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AGRICOLTURA ETICA NO CAP
Proprio in questo comune in provincia di Ragusa, invece, che si è ribadito con forza il no allo sfruttamento, seconda tappa (dopo la Puglia) di una rete che intende raggruppare tutte le aziende agricole etiche, che non ricorrono a lavoratori e lavoratrici irregolari, o peggio, sfruttati. Fautore di questa rivoluzione è Nicola Arena, un giovane imprenditore che ha dedicato la vita alla produzione di pomodori datterini, ciliegini e pomodorini gialli, seguendo i metodi dell’agricoltura sia tradizionale che biologica, con due linee di conserve, salse, sughi e pesti. Fieramente legata alla propria sicilianità, della quale fa un segno distintivo, l’azienda La Vita Bio ha deciso immediatamente di aderire alla Campagna No Cap, che punta a consorziare ogni azienda agricola che rifiuti capolarato, lavoro nero e qualsiasi forma di schiavitù del lavoro nei campi.
Chi aderisce alla campagna promossa dall’omonima associazione fondata da fondato da Yvan Sagnet e dalla Rete per la Terra, come ha fatto Nicola, riceve un vero e proprio bollino che attesta l’eticità dell’azienda e il rispetto dei diritti dei lavoratori impiegati nella filiera di produzione del prodotto a marchio No Cap, che sta per No Caporali.
Tra i criteri per ottenerlo, in primis c’è l’etica del lavoro, che deve essere pienamente rispettata, con lavoratori e lavoratrici in regola con salari non da fame. Ma anche la filiera corta, un approccio di riduzione degli sprechi, la decarbonizzazione, come vengono trattati gli animali e la tipologia di prodotto in sé, che deve rappresentare un alto valore aggiunto.
Così, per esempio, le salse e le conserve de La Vita Bio sono salse etiche certificate: Nicola, cogliendo al balzo la normativa sulla regolarizzazione dei braccianti, ha messo in regola tutti i suoi lavoranti, continuando la sua attività nel pieno rispetto della legalità, sottraendo, così, zone d’ombra e sacche di lavoro nero al controllo delle mafie e dell’illegalità.
«Il progetto NoCap – spiega il titolare dell’azienda in un’intervista al portale Fresh Plaza – mira a contrastare il caporalato e, in generale, il lavoro irregolare nel settore agricolo, garantendo ai produttori un prezzo giusto per i loro prodotti e ai lavoratori l’applicazione dei contratti collettivi del lavoro. In questa fase sperimentale, il progetto NoCap è attivo in tre aree d’Italia: in Capitanata (Puglia), dove si raccolgono pomodori che si trasformano in conserve (pelati e passate), nel Metapontino (Basilicata) in cui un centinaio di lavoratori raccolgono e confezionano prodotti freschi tra frutta e orticole e nel Ragusano (Sicilia), dove una quarantina di lavoratori coltivano alcune varietà di pomodoro locale».
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AZIENDA AGRICOLA LA VITA BIO
Il tipo di imprenditore di cui l’agricoltura del paese ha bisogno, che si espone in prima persona per lottare contro caporalato e criminalità, troppo spesso presenti in un territorio, come il ragusano, ma più in generale il Mezzogiorno, in cui mafie, lavoro nero sotto salario e addirittura ricatti e violenze sulle lavoratrici sembrano essere la norma. E se si pensa al caporalato e alla schiavitù come superati o inesistenti, forse si dovrebbero osservare con attenzione le cifre del fenomeno, esposte nel quarto rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil che è stato presentato lo scorso luglio.
Ancora oggi, purtroppo, sonon in 400mila i lavoratori agricoli a rischio, il cui 28 per cento è rappresentato da migranti e persone in condizione di svantaggio, che ricevono una retribuzione assai inferiore alla media nazionale: uno scandalo economico e morale. Il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura vale quasi 5 miliardi di euro, coin un tasso di irregolarità pari al 39,9%, togliendo alle casse dello stato, in termini di evasione contributiva di quasi 2 miliardi di euro.
La rete delle aziende etiche, invece, cresce. Non solo per quanto riguarda le adesioni, ma anche e soprattutto il volume d’affari. Il marchio de La Vita Bio, infatti, cresce del 30% ed è presente nella Gdo estera tra Austria, Svizzera e Germania, ma anche di Danimarca e Giappone.
(Immagini in evidenza e a corredo del testo tratte dalla pagina Facebook di No Cap)
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