All’indirizzo della mia mail privata continuo a ricevere appelli con questo titolo: “Antonio, aiuta l’Emilia”. La macchina della solidarietà privata, a sostegno delle popolazioni colpite dalle terribili scosse del maggio scorso, non si è mai fermata. E quella pubblica? E’ una montagna che finora ha partorito un topolino, con uno spreco enorme di risorse e di aspettative e con la solita valanga di burocrazia che in Italia riesce a travolgere perfino le vittime di un terremoto.
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Dal mese di giugno scorso al dicembre 2012 sulla popolazione dell’Emilia sono piovuti 95 provvedimenti tra leggi, decreti e ordinanze commissariali. Un vero labirinto di norme e di scadenze che ha scoraggiato artigiani, commercianti e agricoltori che spesso sono sprovvisti delle strutture organizzative per affrontare questo rompicapo dell’Italia che si perde nella giungla degli aiuti. Risultato: ad oggi nessuna azienda si è fatta avanti per attingere al fondo di 6 miliardi, già stanziati e dunque pienamente disponibili, per la ricostruzione degli impianti danneggiati dal terremoto. Eppure, specie nella zona di Modena e Ferrara, sono migliaia i capannoni distrutti dalle scosse e il contributo messo sul tavolo dal governo e dall’amministrazione regionale è molto generoso: ben l’80 per cento dei soldi concessi per la ricostruzione è infatti a fondo perduto. Niente prestiti, niente interessi, e niente rate da restituire. Eppure la risposta, in coro, è stata finora sempre la stessa: no, grazie, commenta Giuliana Gavioli, responsabile del settore biomedicale della Confindustria di Modena, uno dei comparti più colpiti dal disastro del maggio scorso.
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Anche la prima misura concreta di aiuto alle popolazioni emiliane, la dilazione fiscale, non ha avuto un particolare successo: le richieste non hanno superato la soglia dei 750 milioni di euro a fronte di uno stanziamento di 6 miliardi. In questo caso, a complicare il quadro degli interventi ci ha pensato la Cassa depositi e prestiti, intervenuta come intermediario su mandato del governo per non toccare il bilancio statale e peggiorare i conti pubblici con gli aiuti ai terremotati in Emilia. Stesso atteggiamento anche da parte degli agricoltori: solo 25 milioni di fondi europei utilizzati per le attrezzature rispetto a uno stanziamento di oltre 100 milioni.
La storia della ricostruzione in Emilia è emblematica di un Paese malato di burocrazia. I soli danni ai fabbricati nell’epicentro del terremoto superano la cifra di 1 miliardo di euro, i soldi per ristrutturarli ci sono, ma non si riescono a spendere per le scartoffie che li rendono inaccessibili. E le aziende, come la Oece Plastics di Medolla, scelgono la più grave delle scorciatoie: chiudono i battenti.
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