C’è un’altra pandemia in Italia, di cui non si parla quasi mai, fatto salvo qualche sporadico grido d’allarme da parte di tecnici e competenti in materia, perché le sue vittime sono i meravigliosi pini del nostro paese, patrimonio arboreo poco tutelato ma iconico, tanto da ispirare anche un celebre poema sinfonico del 1924 del compositore Ottorino Respighi, quel “I pini di Roma” suonato dalle filarmoniche di tutto il mondo.
ALLARME PARASSITA DEL PINO
I pini di Roma, come quelli di Napoli e dei litorali delle nostre spiagge, soprattutto del sud del paese, sono sotto attacco di questo micro-organismo che gli appassionati di giardinaggio conosceranno con il nome di cocciniglia e che ha anche un nome simpatico. Volgarmente, infatti, viene chiamata “cocciniglia tartaruga del pino”, ma questo insettino ha un nome scientifico assolutamente impronunciabile: Toumeyella parvicornis. Nonostante le dimensioni ridotte i danni che fa ai pini dei litorali e delle zone urbane sono incalcolabili: dal 2015, anno in cui si è diffusa nel nostro paese dal Nord America, pare abbia infestato la quasi totalità dei pini da pinoli della Capitale, e sta contribuendo in modo significativo alla mortalità dei pini italiani. Nei Caraibi, addirittura, dove si è diffusa a macchia d’olio come una vera epidemia, nell’ultimo decennio ha decimato il pino di Caicos nelle foreste dell’arcipelago omonimo, causando la morte del 95% delle piante e modificando radicalmente l’ecosistema del posto.
La cocciniglia tartaruga è difficilissima da sconfiggere: non si vede ad occhio nudo, non vola, viene trasportata dal vento, e le sue larve si comportano proprio come i parassiti. Si attaccano, cioè, al tronco, e iniziano a succhiarne la linfa, causando un progressivo indebolimento della pianta, soggetta fra l’altro anche all’attacco da parte della processionaria. Il decesso della pianta è lento, possono trascorrere anche anni, e la cocciniglia non è diretta responsabile dei crolli degli alberi e dei danni a cose e persone. Lo è, invece, l’incuria, poiché un albero infetto muta la sua forma, il suo tronco si rinsecchisce fino a spezzarsi e quindi va abbattutto prima dell’ultimo stadio dell’infezione.
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COCCINIGLIA TARTARUGA DEL PINO
Nessun rischio per l’uomo, quindi, ma per la biodiversità. La cura? C’è ma è costosa, anche se è possibile lavorare in scala con palliativi che tutelino i pini italiani. Dati derivanti dal monitoraggio del patrimonio di pini della città di Roma parlano di circa l’80 per cento degi alberi infetti. Il primo esperto a lanciare l’allarme nella Capitale, nel 2018, è stato l’agronomo Leonardo Perronace, già consulente dell’Orto Botanico, che aveva iniziato le sue osservazioni dai pini del litorale, partendo da via Cristoforo Colombo, che ne è fiancheggiata. In una video intervista al portale Il Faro, infatti, aveva già denunciato l’infezione che si va diffondendo da Tor Marancia e Laurentina verso il centro città. «Sono rimasti coinvolti i giovani pini di Euroma2 ma anche molti alberi lungo la Colombo, la Laurentina, Malafede ed anche a Mostacciano –aveva affermato – E i pini infetti sono abbastanza riconoscibili, poichésono avvolti da una specie di fuliggine scura e da un aspetto lucido, in particolare sulla corteccia. In seguito, a causa delle muffe, anche gli aghi assumono un colore nero intenso, ricoprendo di fumaggine nera anche il terreno sottostante le piante colpite. Ho riconosciuto l’infestazione in praticamente tutti i pini che fiancheggiano la via Cristoforo Colombo».
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Un disastro annunciato, che, colpevolmente non pare essere nella lista delle cose da fare. Mentre i nostri pini continuano a morire e la biodiversità delle città è in pericolo. Anche a causa di un altro parassita, un’altra cocciniglia, il Matsucoccus feytaudi, arrivata dalle stesse aree geografiche, che sta mangiando altre specie di pini, i pini marittimi, in tutta l’area mediterranea.
(Immagine a corredo del testo per gentile concessione di Fabrizio Carbone)
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