L’Italia continua a non fare nulla, specie nell’universo della grande distribuzione e dei fast food, per evitare lo scempio delle ignobili condizioni nelle quali sono allevati i polli da offrire ai consumatori. Per il sesto anno consecutivo the Pecking Order (TPO) ha analizzato le principali catene di fast-food (75 aziende) per valutare come affrontano e gestiscono le condizioni di vita dei polli allevati nelle loro filiere. Si tratta di marchi che troviamo in Francia, Germania, Italia, Polonia, Romania, Spagna e Repubblica Ceca, e in particolare nel nostro Paese, con la collaborazione dell’associazione Essere animali, sono state valutate sette aziende di supermercati: Autogrill, Burger King, IKEA, KFC, McDonald’s, Starbucks e Subway.
I risultati, come si vede in questa tabella sono sconfortanti.
Tutte le aziende hanno punteggi molto bassi (le peggiori sono Autogrill e Burger King, con progressi, rispetto al 2023, in molti casi pari a zero. Un’inerzia totale e un’assoluta mancanza di volontà di cambiare le cose: i supermercati italiani continuano a vendere polli vissuti in allevamenti intensi dove le condizioni sono disastrose, e non sembrano intenzionate muovere un dito per cambiare le cose. Anzi. Nei capannoni dove, a causa del sovraffollamento e dell’aberrante velocità di crescita (per cui i polli arrivano a 2,5 kg in soli 35 giorni), gli animali soffrono e hanno condizioni di vita semplicemente assurde. Il 60 per cento dei polli presenta ustioni sotto le zampe di tipo grave e molto grave, come indicano i dati raccolti dal Ministero della Salute in 200 allevamenti situati in Lombardia ed Emilia Romagna. Il 90 per cento invece presenta miopatie al petto caratterizzate dalle strisce bianche sul petto ben visibili ad occhio nudo.
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