ARRESTI EXPO 2015. Ci risiamo. A distanza di 22 anni dalla slavina di Tangentopoli, Milano si ritrova nell’epicentro di un’inchiesta giudiziaria a maglie larghe, larghissime, come se fosse condannata ad essere una metropoli dal doppio volto e dalla doppia anima. Da un lato la città del fare, dall’economia al volontariato, dalla tradizione dei più classici e atavici affari alle nuove tendenze della modernità spalmata in tutti i settori; dall’altro versante il crocevia di oscure trame che mettono in relazione denaro e potere, appalti e faccendieri, politica corrotta e pubblica amministrazione inquinata. La Milano da bere, e la Milano fuorilegge. Due città in una.
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MILANO EXPO 2015. A questo giro la cupola milanese, così la definiscono i magistrati, ha messo le mani sull’investimento più importante del Paese, l’Expo 2015, e lo ha fatto con un meccanismo che ricorda molto da vicino le spartizioni emerse dalle indagini di Mani Pulite. Innanzitutto un accordo trasversale, un tempo bisognava coprire tutto l’arco costituzionale, mentre adesso basta essere bipartisan, centrodestra e centrosinistra, per assegnare gare, consulenze, carriere. Poi una rete di collegamenti che da Milano arriva a Roma, il cuore del potere politico, con personaggi- chiave, di raccordo, tra la pubblica amministrazione e i partiti, o quello che resta dei partiti. Gente esperta, che sa sempre dove mettere le mani ed a quali porte bisogna bussare. Ecco perchè se al centro dei sette arresti di ieri (sei in carcere e uno ai domiciliari) compaiono personaggi come Angelo Paris, il dirigente che comanda sugli acquisti e sulle forniture di Expo 2015, e Antonio Rognoni, il direttore generale della società regionale che si occupa delle opere pubbliche, dagli ospedali alle scuole, in Lombardia, un passo appena indietro ci sono alcuni presunti protagonisti del remake di Tangentopoli in versione anni Novanta.
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EXPO 2015 E TANGENTOPOLI. Chi non ricorda Primo Greganti, cassiere del Pci, il “compagno G” per le cronache, l’uomo che allora fece 115 giorni di carcere senza mai fare il nome di un dirigente politico del suo partito? Classe 1944, Greganti non sembra cambiato, a parte l’età che intanto avanza, e dopo 22 anni riappare nella stessa funzione di allora, quando alla fine dei processi la sua posizione si chiuse con una condanna a 3 anni e 7 mesi per finanziamento illecito. O forse non è mai scomparso, se si pensa che ancora nel 2010 il “compagno G”, stando alle cronache del quotidiano Europa, raccoglieva soldi per il partito.
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Gianstefano Frigerio è meno noto di Greganti, ma non meno importante, ieri come oggi. Allora ricopriva l’incarico di segretario regionale della Democrazia cristiana e in questa veste ha avuto un paio di condanne per concussione, ricettazione e finanziamento illecito, oggi è un ex deputato di Forza Italia con un ufficio a Bruxelles dove segue da vicino l’attività del gruppo del Partito popolare europeo. Anche tra gli imprenditori ci sono nomi della serie “ a volte ritornano”. A partire dal costruttore Enrico Maltauro, già indagato negli anni Novanta. E anche oggi, come ieri, mano a mano che si scoperchia la pentola, trabocca l’acqua che bolle. Finora sono già dieci i filoni di inchieste, aperte da diverse procure, che riaguardano lavori, appalti e consulenze dell’Expo 2015. E accanto al nucleo dei colletti bianchi non mancano, per completare il quadro, i rappresentanti della n’drangheta.
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MILANO, LE DUE ANIME. Due Milano in una, dunque, con copioni che si replicano a distanza di più di un ventennio. Piero Bassetti, esponente storico del mondo cattolico lombardo e presidente della Lombardia degli anni Settanta, è molto lucido nella sua sintesi: “La purezza in politica non esiste, e la corruzione si gonfia dove c’è la grana. Ma purtroppo bisogna riconoscere che, in quanto a legalità, a Milano come in Italia siamo sempre allo stesso punto. Bisognerebbe eliminare le tentazioni e le pressioni, specie sui versanti più caldi dell’urbanistica, e innanzitutto selezionare una migliore classe dirigente”. Già la classe dirigente, ovverso la borghesia. Quella che a Milano ha fatto la storia e l’identità della città, costruendo un solido rapporto con le classe popolari innanzitutto attraverso la buona amministrazione pubblica, e che oggi, come scrive il sociologo Aldo Bonomi in un libro che scolpisce la deriva (Milano ai tempi della modernizzazione), si è ritirata nei suoi interessi o si è trasformata in una oligarchia.
EXPO 2015 LA CUPOLA. E così la metropoli più europea d’Italia si è ritrovata, secondo la definizione di Bonomi, “nelle mani delle volpi più che dei leoni”. Bisognerà vedere se le accuse alla cupola dell’Expo 2015 siano tutte provate e fondate, e non si sgonfino come tante inchieste di Tangentopoli. Speriamo solo di non dovere aspettare, con i tempi della giustizia italiana, 22 anni per saperlo.
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