Arte contemporanea in Italia: abbiamo costruito un monumento allo spreco

Mentre le fiere crescono in tutta Europa, noi appariamo sempre più provinciali: l'Iva è a livelli folli, le gallerie sopravvivono e gli sprechi, in termini di opportunità di lavoro, ricchezza diffusa sul territorio e turismo culturale, non si contano

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Nell’Italia dei capolavori artistici senza tempo, siamo riusciti in poco tempo a farne uno all’incontrario, con straordinario talento di autolesionisti: un monumento allo spreco sotto il segno dell’arte contemporanea. Più guardo da vicino, pura curiosità di osservatore, il nostro universo dell’arte contemporanea, più lo confronto con quello che vedo nel mondo, e più mi convinco che sappiamo farci veramente male. Da soli. In fondo, sulla carta negli anni siamo riusciti a mettere in campo una rete molto dignitosa di musei, forse perfino troppi, e adesso, anno di grazia 2014, li stiamo distruggendo.

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Il Macro di Roma è il caso più emblematico, un vero esercizio della politica di un comune come attività per dilettanti allo sbaraglio, ma grida vendetta anche lo strisciante ridimensionamento del Castello di Rivoli a Torino, anche qui: avanti con il dilettantismo, che pure aveva conquistato uno spazio di rilievo nella vetrina internazionale dei musei di arte contemporanea. Le fiere di arte contemporanea crescono in tutta Europa: Parigi sfida Londra, Madrid sale di quota e Basilea vola in America a giocare la sua partita. E noi? Più provinciali che mai, nell’universo del contemporaneo che invece è cosmopolita per definizione, difendiamo le nostre “fierette” in una sorta di guerra tra i poveri. Così l’appuntamento di Bologna ricorda ormai una giornata al mercato di Porta Portese, mentre la fiera di Torino, che ha interessanti potenzialità, si è appassita dopo anni di grandi slanci. I nostri galleristi fanno quello che possono: sopravvivono in un mercato dove l’Iva è folle e taglia le gambe alle vendite, mentre in Europa, da Berlino a Parigi, si taglia proprio l’Iva per favorire, in chiave di sistema, il settore dell’arte contemporanea.

Le gallerie sopravvivono, ma non crescono, non riescono, tranne qualche rara eccezione, a salire di fascia, a diventare competitive sui mercati internazionali, a vantaggio così anche degli artisti che invece vengono penalizzati dal nanismo dei loro mercanti. I collezionisti, a loro volta, i grandi acquisti li fanno all’estero, magari alle aste di Londra o di New York, e sono veramente rari, e andrebbero considerati come degli eroi, quelli che pensano in grande, in termini di sistema, e oltre ad accumulare opere vogliono anche lasciare il segno della loro passione con un gesto di puro e chiaro mecenatismo culturale, senza dissimulate contropartite.

In ultimo, quando si parla di sistema c’è sempre il tocco finale della politica, e da osservatori dell’arte contemporanea, consideriamoci fortunati se l’ex ministro Massimo Bray dovesse tornare a occuparsi dell’enciclopedia Treccani. Da ministro, infatti, ha proposto una riforma del ministero che di fatto cancellava lo status stesso dell’arte contemporanea, con la gioia di qualche mandarino della burocrazia dei Beni culturali che non ama, e non vede, il contemporaneo.

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Lo spreco, dicevamo. In ognuno degli angoli di questo puzzle di un Paese tafazziano quando si tratta di Beni culturali e di Turismo, in ognuno degli snodi nei quali sta affondando il sistema dell’arte contemporanea in Italia, ci sono delle opportunità sprecate. Posti di lavoro, economia del made in Italy ai migliori livelli, ricchezza diffusa sul territorio, turismo culturale, possibilità per i giovani che vogliono occuparsi di arte. Tutto cancellato, tutto sprecato.

da Artitribune

 

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