La denuncia di Fitoussi: Francia lasciata sola contro l’Isis

Intervista all’economista: dicono che siamo tutti parigini, ma poi la guerra dobbiamo farla da soli. Bisogna svuotare le periferie, diventate polveriere.

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ATTACCO ISIS FRANCIA –

«Le sembrerà strano, ma Parigi non è una città in stato d’assedio come la descrivono tanti inviati. La vita continua, nonostante lo choc collettivo, con una straordinaria normalità…»: l’economista Jean Paul Fitoussi risponde al telefono, dalla sua casa nella capitale francese, sui tragici attacchi dell’Isis in Francia.

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  • Se l’aspettava una reazione così energica?

Francamente no. Devo riconoscere che i francesi stanno mostrando un coraggio all’altezza dello loro storia. E questa è un’iniezione di forza molto contagiosa di cui abbiamo tutti bisogno.

  • C’è la consapevolezza di essere in guerra?

Da molto tempo! Una guerra civile, perché il 30 per cento degli attentatori sono cittadini francesi o belgi, non immigrati né tantomeno clandestini. Sono nati e cresciuti qui, o in Belgio, e fanno parte del nostro Paese e della nostra Europa. Una guerra asimmetrica, con soldati che non abbiamo mai visto nel Novecento, che si fanno esplodere in aria: ma sempre una guerra che solo una certa ipocrisia, con certo in Francia, vuole chiamare in altro modo.

  • Lei pensa che la Francia sia al centro dell’attacco per il suo ruolo centrale nell’assassinio di Gheddafi?

Non credo, anche se quell’operazione fu un gravissimo errore. Paghiamo per il nostro impegno militare, in Africa, in Mali, in Nigeria, in Iraq e in Siria. Sui fronti di guerra, dove siamo il solo paese europeo ad essere davvero impegnato. Siamo soli a combattere, con uomini, mezzi e risorse finanziarie, e per questo siamo diventati un bersaglio, il nemico numero uno dell’Isis.

  • Eppure Hollande ha chiesto apertamente all’Europa di schierarsi con la Francia.

Già, ma ancora una volta l’Europa non c’è. E non ha risposto all’appello del presidente francese. Da venerdì notte ascoltiamo soltanto parole, parole, parole. Ci dicono: siamo tutti fratelli, tutti francesi, tutti parigini, ma poi i soldati e gli aerei a combattere li mandiamo soltanto noi. Assurdo….

  • Vince la paura?

Vincono l’egoismo e la furbizia che annegano nella retorica. Ma il conto alla fine lo pagheremo tutti.

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  • Intanto al fianco dei francesi ci sono due dittatori, Putin ed Erdogan.

Già, è un singolare paradosso. L’Europa mette la testa nella sabbia, la democrazia appassisce,  e nel vuoto la forza la troviamo nell’appoggio di alcuni dittatori, a partire da Putin che avrà un ruolo decisivo in questa guerra.  Grazie alla nostra inerzia, dobbiamo affidarci a quei personaggi-tipo che abbiamo combattuto, anche con il sangue, durante tutto il Novecento.

  • In questi giorni emergono ancora una volta due nervi scoperti del sistema Paese francese. Il primo riguarda il servizio di intelligence: perché funziona così male?

Lei ha ragione, ne ho parlato anche con qualche esponente dei servizi. Ma per loro è un lavoro molto complicato, perché il nemico è in casa, vive e cresce con noi. E dunque è più difficile identificarlo.

  • Secondo nervo scoperto: la cattiva immigrazione, forse troppo lasca, con le periferie diventate bacini perfetti per reclutare e organizzare i soldati dell’Isis.

Le periferie rappresentano il fallimento della politica dell’immigrazione francese. Adesso ci  sarà un pesante giro di vite, ma il problema resta.

  • Ha un’idea su come affrontarlo?

Con grandi investimenti pubblici nelle periferie. Bisogna riuscire a svuotarle, almeno parzialmente, permettendo a molte persone di andare a vivere altrove e meglio. E’ un obiettivo complesso, mi rendo conto, e di lungo periodo, ma non possiamo continuare ad avere delle polveriere dove crescono e si moltiplicano i nostri nemici.

  • Quanto conta, in questa guerra, la diseguaglianza sociale di una globalizzazione così mal governata, come lei ha spesso denunciato?

Conta poco, perché qui siamo in presenza di un movimento patriottico, che fa leva su altri sentimenti, a partire dalle forzature religiose.

  • Vedremo lo stato dell’Isis espandersi fino a diventare per una parte degli arabi sunniti ciò che Israele è oggi per gli ebrei?

Qualcuno avanza questa ipotesi che considero semplicemente folle. Non potremo mai riconoscere né negoziare con uno stato di terroristi e di criminali. Piuttosto, sul fronte mediorientale ci sono altri stati, penso all’Iraq e alla Siria, tra i quali noi dobbiamo cercare i nostri alleati. Un motivo per avere l’Europa in campo e non, come adesso, barricata nel suo ipocrita immobilismo.

  • Lei ha paura?

No, ma vivo male.

  • Che cosa direbbe a una ragazzo della generazione Erasmus, abituato a viaggiare continuamente, a muoversi in libertà, di fronte a questo nuovo scenario?

Direi di considerarlo una tragica parentesi della storia. Prima o poi avremo un nuovo equilibrio geopolitico nel mondo, ma intanto specie per i giovani la vita deve continuare come prima. Prendano esempio dal coraggio dei parigini in queste drammatiche giornate: una lezione per tutti i ragazzi europei.

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