ATTENTATO TERRORISTICO PARIGI: LA STRAGE AL GIORNALE CHARLIE HEBDO –
C’è una parola che manca nel lessico dei musulmani dopo la strage di Parigi: scusate. Ho ascoltato con molta attenzione, dal giorno dell’eccidio nella redazione di Charlie Hebdo, i commenti dei rappresentanti della comunità islamica in Europa, a Parigi, a Londra, a Milano, a Verona. Ho sentito ripetere, come in una liturgia collettiva, tutto e il contrario di tutto, cioè il nulla, tranne quella parola magica, scusate, che aspettavo. Hanno detto che gli assassini, che hanno ucciso nel nome del loro Dio, Allah, non vanno confusi con un’intera religione: ci mancherebbe. Molti di loro hanno parlato perfino di un fantomatico complotto fascista o di chissà quale Nemico occidentale (i soliti americani?), ma senza lo straccio di una prova, di un elemento concreto. Qualcuno si è spinto fino a una sorta di “in fondo se lo meritavano”, censurando con un atteggiamento giustificazionista rispetto agli assassini la pesantezza delle vignette dei redattori di Charlie Hedbo, come se sia ammissibile, anche solo per un attimo di furore, fermare la satira con i kalashnikov. Altri se la sono cavata con un paradossale piagnisteo contro le possibili ritorsioni ai danni degli arabi emigrati in Europa. Tutto, appunto, con l’esclusione di quella parola, scusate, della quale pure abbiamo diritto in un momento così tragico. Eppure da noi i musulmani hanno avuto tanto e sempre: cittadinanza (sono quasi il 3 per cento della popolazione italiana e il 6 per cento in Francia), lavoro, istruzione, luoghi di culto (700 tra moschee e sale di preghiera). Democrazia. Certo: l’integrazione è complessa , anche perché l’abbiamo interpretata e confusa con un’immigrazione selvaggia, e non sono mancati atti di intolleranza, puntualmente denunciati dalla nostra, libera opinione pubblica.
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LA REAZIONE DEI MUSULMANI DOPO LA STRAGE E L’IMPORTANZA DI CHIEDERE SCUSA –
La rimozione di una parola così importante, scusate, l’eclissi di questo elementare e tangibile segno di solidarietà con i fratelli, sono una prova concreta di quella ambiguità di fondo che accompagna i cosiddetti islamici moderati, ammesso che esistano davvero. Dicono e non dicono, dissimulano, e non prendono mai, con nitidezza, le distanze da una minoranza del loro universo: ecco perché non sanno e non vogliono pronunciare la parola scusate. In questa miscela di equivoci, molto araba, viene messo in discussione perfino il punto di partenza, un conflitto strisciante e militare, del quale ha parlato anche Papa Francesco, non dunque l’ultimo guerrafondaio del Pianeta ma l’uomo che invita comunque al dialogo, quando ha denunciato lo scoppio di una terza guerra mondiale. Contro la nostra democrazia, che noi abbiamo messo al loro servizio, senza mai richiedere, come era nostro diritto, condizioni di reciprocità (i cristiani nel mondo musulmano non solo non possono pregare quasi ovunque, ma spesso sono vittime di un genocidio). Noi siamo pronti alle autocritiche, agli esami di coscienze, fino all’ipocrita rimozione delle nostre radici cristiane, che non abbiamo voluto inserire nella Costituzione europea, e loro? Noi dobbiamo continuare a considerare il dialogo inter-religioso come uno strumento essenziale per respingere gli attacchi jihadisti, e loro? Il linguaggio, a volte, spiega tante cose meglio di qualsiasi analisi, comprese quelle basate sull’aria fritta di alcuni nostri commentatori e ministri che sanno solo ripetere il vacuo appello a non confondere atti di terrorismo (no: di guerra) con l’islam. Ci mancherebbe. E nel linguaggio dei musulmani la parola scusate non è ancora stata pronunciata. Speriamo che arrivi, prima che sia troppo tardi.
PER APPROFONDIRE: Tutto si perde con la guerra, niente si perde con la pace (Papa Francesco)
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