L’Australia è il primo paese al mondo a imboccare una strada molto restrittiva sull’uso dei social da parte dei minorenni: una legge, approvata dalle due Camere, lo vieta prima dei 16 anni. Il provvedimento è un duro colpo per le piattaforme come TikTok, Instagram e Facebook, mentre i sondaggi dicono che la maggioranza della popolazione è decisamente favorevole alla decisione presa dal governo. <Una legge per proteggere le famiglie e gli stessi adolescenti> l’ha definita Anthony Albanese, premier australiano.
L’effetto contagio di questa legge, che prevede multe pesanti per le piattaforme che non la rispettano (fino a 30 milioni di euro), potrebbe essere molto significativo. Un provvedimento del genere è in cantiere in Gran Bretagna, e la stessa cosa riguarda la Francia, dove una legge che richiede il consenso dei genitori per consentire l’uso dei social agli under 15, finora non ha funzionato. E in America, le lobby delle grandi piattaforme sono riuscite a orientare la Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha cancellato una legge molto simile a quella australiana approvata nello Stato dello Utah.
Anche in Italia esiste una proposta di legge, già depositata in Parlamento, molto simile a quella approvata in Australia, e la cosa sorprendente è che si tratta di una normativa sottoscritta da deputate, tutte donne, di schieramenti politici diversi, e in particolare Marianna Madia e Simona Malpezzi del Partito democratico e Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia.
Infine, accanto all’idea di stringere i cordoni dell’accesso ai social per le fasce di minorenni, sarebbe opportuno essere più severi con le grandi piattaforme social, responsabili di un atteggiamento passivo di fronte all’inquinamento di Internet, un universo ormai pieno di fake news, pornografia spinta, istigazione alla violenza, elogio dell’anoressia, della bulimia e persino del suicidio. Tutti contenuti che, purtroppo, sono tra i più redditizi per le piattaforme dei social.
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