L’avaro commette uno dei sette peccati capitali secondo la dottrina cattolica, e ciò non nasce soltanto dall’attaccamento al denaro, e dall’inversione tra mezzo e fine nel nostro rapporto con i soldi. C’è anche un aspetto psicologico, che San Bernardo coglieva molto bene: un’inconscia paura di impoverirsi, di solito abbinata alla totale incapacità anche solo di guardare i veri poveri.
L’avaro non conosce la generosità, le sue sfumature e anche la sua potenza in termini di benefici. Al contrario del povero, che invece ha un istintivo senso della generosità, probabilmente per le sue sofferenze. L’università di Berkeley ha dimostrato, con una dettagliata ricerca, che i poveri, e comunque i meno ricchi e benestanti, hanno una maggiore tendenza al dono. Si fidano di più del prossimo, sentono il dovere di aiutarlo, e non hanno paura degli altri.
L’avaro non ha il senso del trascendente. Non immagina un dopo, e pensa che tutto si riduce alla vita terrena, dove ciò che conta è accumulare. Non conosce la splendida poesia ‘A Livella, un capolavoro letterario di Totò, che ci ricorda come al cimitero, saremo tutti uno accanto all’altro, ricchi e poveri.
L’avaro non sa condividere. Gli sfugge l’idea della comunità, e non riesce ad avere qualcosa insieme agli altro. Tutto è sempre e solo per sé stesso. Questa forma di chiusura comprende anche le persone: l’avaro non condivide con gli altri neanche i suoi amici.
L’avaro, in una sorta di legge dantesca del contrappasso, non riesce a essere felice. Soffre la sua condanna alla solitudine, il distacco che lo allontana dal prossimo, la mancanza di legami liberi e autentici, non inquinati dall’idea del possesso.
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Fonte immagine di copertina: Pianeta Mamma
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