La genesi della discesa in campo di Silvio Berlusconi, in conflitto di interessi tra le sue ramificate attività economiche e il ruolo di futuro capo del governo, è stata spiegata con tutti i particolari di cronaca dal racconto che mi fece Marcello Dell’Utri: «Nel settembre del 1993, quando Berlusconi mi convocò ad Arcore per chiedermi di aiutarlo a fare un partito, Forza Italia, da mettere in campo alle prossime elezioni (quelle del 1994 n.d.r.), la Fininvest aveva 5mila miliardi di lire di debiti e l’amministratore delegato del gruppo, Franco Tatò, ci chiedeva di portare i libri in tribunale perché non vedeva vie d’uscita. Inoltre Silvio era sotto lo scacco dell’aggressione delle procure e nel gruppo dei suoi più stretti collaboratori soltanto io ero favorevole, con lui, alla discesa in campo. Gli altri, a partire da Fedele Confalonieri e Gianni Letta, erano tutti contrari. Posso dire che, senza quella scelta, Berlusconi non avrebbe salvato la pelle e sarebbe finito come Angelo Rizzoli che, con l’inchiesta della P2, andò in carcere e perse l’azienda».
In realtà, a distanza di 18 da quella storica decisione, presa dunque quasi in solitudine, Berlusconi non solo è riuscito a “salvare la pelle”, ma è diventato anche molto più ricco e potente di allora, allargando ulteriormente la sua sfera nell’universo del business, e ha traghettato la Fininvest, attraverso la quotazione in Borsa di Mediaset, nell’olimpo dei grandi conglomerati televisivi, e non solo in Italia. L’impero economico di Berlusconi, durante il suo (quasi) ventennio al potere, si è retto su un equilibrio di governance che ha funzionato come un orologio. Confalonieri è stato più di un padre e di un garante per i due figli di primo letto del suo amico Silvio, Marina e Piersilvio, e li ha accompagnati alla guida di due settori strategici dell’impero berlusconiano: la tv è finita sotto la guida di Piersilvio e la Mondadori è stata affidata a Marina. C’è da aggiungere che entrambi hanno fatto bene nei loro ruoli, sempre coperti alle spalle da Confalonieri dominus (per delega dell’amico Silvio) dell’impero, riuscendo a sviluppare due grandi gruppi sui quali ha pesato, in questi anni, il conflitto di interessi del padre di Marina e Piersilvio. Le cose si sono complicate con la crescita degli altri tre figli di Silvio Berlusconi (Barbara, Eleonora e Luigi) che, spinti anche dall’energia materna di Veronica Lario, giustamente rivendicano il loro spazio. Intanto, e questa è cronaca nota, il matrimonio tra Silvio e Veronica è finito facendo volare gli stracci e la questione della successione generazionale è ancora da risolvere con enormi incognite per tutti i componenti della famiglia. Se, per ipotesi astratta, Silvio Berlusconi dovesse tornare a tempo pieno alle sue attività economiche, il suo primo e decisivo problema da risolvere sarebbe proprio quello di ridisegnare la governance dell’impero. E il tema non cambierebbe se, come è più probabile, l’attuale premier decidesse comunque di continuare la sua avventura in politica. Tra l’altro c’è un precedente importante da ricordare: Berlusconi a un certo punto della sua dirompente carriera politica aveva già deciso di vendere Mediaset all’amico Murdoch, incassando una favolosa plusvalenza e sottraendosi così al macigno del conflitto di interessi. Ma furono proprio Marina e Piersilvio a fermarlo. E poiché negli affari tutto è sempre possibile, non è un caso se negli ultimi tempi sui giornali del magnate Murdoch, Berlusconi è stato trattato con i guanti di velluto. La domanda è legittima: l’amico di ieri, diventato poi concorrente con lo sbarco di Sky in Italia, tornerà in gioco nel futuro di Mediaset?
La seconda, pesante incognita per il futuro di Berlusconi e della sua famiglia negli affari è legata proprio al racconto di Dell’Utri a proposito della discesa in campo dell’amico Silvio. Alcune procure italiane, e non sono poche, si presentano in modo chiaro e forte all’attacco giudiziario di Berlusconi: a parte la valanga di inchieste, comprese quelle evidentemente strumentali, ed i loro esiti, il nodo da sciogliere è ancora racchiuso in una domanda. Riuscirà Berlusconi a difendersi, innanzitutto come tutti ci auguriamo nei processi e non dai processi, senza lo scudo del suo ruolo di intoccabile capo del governo? Certo: se qualcuno pensasse che sia giusto trascinare Berlusconi a fare la fine di Angelo Rizzoli, restiamo ancora alle parole di Dell’Utri, bisognerebbe ricoverarlo. Innanzitutto le spalle di Berlusconi di oggi non sono quelle di Rizzoli durante il suo crollo sotto i colpi dell’inchiesta sulla P2 e poi è stato uno dei leader della sinistra italiana, Massimo D’Alema, a sottolineare in tempi non sospetti che ormai un gruppo come Mediaset è patrimonio del sistema industriale italiano, e non è solo un’azienda controllata da un’ingombrante famiglia. Infine, la requisizione forzosa di un patrimonio, costruito negli anni grazie a un mix di intuizioni geniali, di fiuto imprenditoriale e di protezioni politiche, appartiene ai metodi di regimi non democratici ed a pagine oscure della storia mondiale. E in Italia, per nostra fortuna, la democrazia è ancora tutta in piedi.
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