A Milano funziona tutto, tranne i bagni pubblici, specie nelle stazioni. Eppure, si pagano, 0,50 euro a ingresso e non si capisce il motivo per il quale ci sia un vero “pizzo” per entrare in un letamaio.
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BAGNI PUBBLICI A PAGAMENTO
Una lettrice del Corriere della Sera ha raccontato il suo pellegrinaggio nei bagni pubblici della stazione Garibaldi, molto frequentata dai pendolari. In teoria i bagni sono otto. In pratica, cinque sono chiusi, in uno manca la porta, e gli altri due si presentano sporchissimi e con lo scarico dell’acqua non funzionante. Si può accettare che tutto ciò costi 0,50 euro per ogni ingresso? Non è una cifra irrisoria, se si considera, per esempio, che un pendolare mette piede in una stazione due volte al giorno, e magari ha qualche problema alla vescica.
Altra cosa che non si può accettare è il solito scaricabarile. Chi deve tenere puliti i bagni delle stazioni? L’azienda ferroviaria, la società che gestisce la linea e i servizi della stazione, il comune? Chiunque sia, deve darsi da fare ed evitare uno spreco così scandaloso sia per l’igiene pubblica sia per il servizio offerto ai cittadini.
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UTILIZZO BAGNO DEI BAR A PAGAMENTO
E Milano, la metropoli più ordinata ed efficiente d’Italia, è in queste condizioni, potete immaginare che cosa accada nelle altre città italiane. A Palermo, per esempio, la pipì si paga. Costa più o meno come una tazza di caffè, con la differenza che consumare un espresso è una libera scelta, mentre andare in bagno può diventare una impellente necessità quando, per esempio, rischi di fartela addosso. E cavalcando questa inderogabile urgenza, qui è stata partorita la vulcanica idea, ai siciliani la fantasia non manca mai, di mettere la pipì a reddito.
Ho fatto la sorprendente scoperta alla stazione centrale di Palermo e in tutta la zona circostante, che ormai possiamo battezzare come un mini distretto della pipì a pagamento, simbolo di uno spreco e di una vessazione più che di un’industria. Arrivo alla stazione in largo anticipo rispetto alla partenza di un convoglio ferroviario che attraversa la costa nord-orientale dell’isola. Un treno importante, frequentatissimo da studenti, pendolari, pensionati e turisti. Un treno, ca va sans dire, spesso in forte ritardo.
BAGNI PUBBLICI, L’ESEMPIO DI PALERMO
Il tempo di allungare lo sguardo sul binario, che vedo già affollato, prendere atto del ritardo, e ne approfitto per andare alla ricerca di un bagno pubblico. Nessuna indicazione, e come in una caccia al tesoro, a forza di domande e risposte incerte, arrivo a destinazione. Entro, pago 80 centesimi, attraverso una porta automatica come nella fermata di una metropolitana e finalmente posso dire di avercela fatta. Il bagno pubblico a pagamento non è una novità, ma pensando alla folla al binario in attesa del mio treno, mi viene un dubbio. C’è un’alternativa alla pipì pagata come un caffè? L’inserviente è un siciliano ciarliero, che la prende larga ma poi arriva al punto: “Qui a Palermo c’è una situazione particolare, bar e ristoranti sono in guerra con il comune che dovrebbe fare dei bagni pubblici. E intanto, mentre si litiga, in tutta la zona della stazione, nessuno può fare la pipì gratis…”. Accidenti, penso con un certo scetticismo, e decido di approfondire con la curiosità del cronista. Vado nel bar-ristorante più grande della stazione, un McDonald’s da orario h24, chiedo la toilette a un cameriere, e un attimo prima di entrare nella parte riservata agli uomini, un energumeno, forse un ex detenuto diventato poi lavoratore socialmente utile e infine dipendente della multinazionale che promette la massima attenzione per i frequentatori dei suoi punti vendita, mi ferma e mi avvisa con aria minacciosa: “Qui per entrare bisogna consumare e pagare un biglietto, altrimenti vai a casa tua a pisciare”. Messaggio ricevuto forte e chiaro, tanto che guardando la faccia di questo buttafuori da stazione, penso di ridurre le mie obiezioni, almeno per il tono, a zero.
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NORMATIVA BAGNI PUBBLICI ESERCIZI COMMERCIALI
Esco così dalla stazione, attraverso la piazza e vado, bar dopo bar, alla ricerca della conferma della piccola attività commerciale, al confine tra il pubblico e il privato, costruita attorno alla pipì. Tutti mi danno la stessa risposta: per andare alla toilette, si paga, anche perché non ne possiamo più di clienti che vanno alla toilette senza consumare e magari sporcano il bagno che poi noi dobbiamo pulire. Qualcuno, particolarmente preparato sull’argomento, mi indica, bene esposta alla cassa, la fotocopia di una sentenza del Tar, un tipo di giurisdizione che in Italia è perfetta per creare monumenti dell’Incredibile e dell’Inverosimile, in base alla quale bar e ristoranti hanno il diritto di riservare le loro toilette ai clienti del locale. Una sentenza largamente non applicata in Italia, ma che invece a Palermo è stata interpretato, sul piano giuridico, come l’avallo alla pipì a pagamento. Non solo. Poiché siamo in Sicilia, nel cuore di quel Mezzogiorno dove spesso lo Stato latitante e il popolo lagnoso sono due lati di una stessa medaglia, con l’elenco delle spiegazioni alla base di questo nuovo, non proprio economico, servizio per cittadini e turisti, mi devo sorbire una serie di improperi contro regione, comune e provincia. Tutti colpevoli di non dare alla città di Palermo i bagni pubblici che servono.
SI PUÓ NEGARE L’USO DEL BAR IN UN NEGOZIO
Alla fine del mio tour, dopo che sono tornato al binario, parlo con un dipendente della stazione e gli chiedo se per caso ha mai sentito qualche protesta da parte dei viaggiatori per la toilette non gratis in tutta la zona. Risposta: “Certo, tutti i giorni c’è qualcuno che si lamenta. E io gli dico: si trattenga qualche minuto, poi appena arriva il treno, salga a bordo e vada in bagno. Vedrà che la pipì torna gratuita”. Già, dimenticavo che da questa parti, di fronte a problemi che potrebbero risolversi con un banale esercizio di buon senso e invece si avvitano nella palude delle assurdità, c’è sempre il miracolo delle soluzioni fai-da-te. Un tantino scomode e rischiose, ma spesso efficaci.
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