Il sequestro da parte della magistratura dell’intera area di Bagnoli dove da quasi 15 anni procede una surreale bonifica ambientale certifica il fallimento di un progetto che pure poteva cambiare il volto di Napoli. Il recupero dei suoi dell’ex Italsider e dell’ex Eternit, con una precisa e irresponsabile scelta politica, sono stati affidati a una società pubblica, Bagnolifutura, finita in amministrazione controllata sotto il peso di un debito insostenibile. Il risanamento di Bagnoli è nato male dal primo giorno per il vizio ideologico che lo ha condizionato dal primo giorno: una velleitaria gestione pubblica, poi risolta, come spesso avviene nel Sud in casi di questo genere, con un carrozzone dello spreco. Sarà la magistratura, auguriamoci in tempi brevi, ad accertare la consistenza dei gravissimi reati contestati, dalla truffa al disastro ambientale, dal falso in atto pubblico al favoreggiamento, ma già adesso il sequestro segna il punto di arrivo di un investimento di oltre 100 milioni di euro, soldi pubblici, evaporati nel nulla.
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Baglonifutura si è dimostrata una scatola inefficace e inefficiente, capace soltanto di distribuire generose consulenze e di sottoscrivere fantasiosi progetti nella zona, come l’acquario delle tartarughe. In 15 anni, invece, l’area poteva essere bonificata e riutilizzata con un intervento dei privati e sotto il rigoroso controllo dell’amministrazione comunale. Napoli avrebbe riavuto un pezzo strategico della città, con funzioni nuove rispetto alla lunga storia dell’industria siderurgica, e con enormi opportunità di sviluppo economico, lavoro e benessere ambientale. Oggi, per esempio, i cittadini non sarebbero torturati dal pasticcio della Coppa America che avrebbe avuto a Bagnoli la sua sede naturale, senza creare disagi a un’intera popolazione. Non ci sarebbe più la vergogna che ciascun amministratore pubblico dovrebbe provare affacciandosi dalle curve di Coroglio e osservando il monumento dell’incompiutezza rappresentato dagli scheletri degli stabilimenti dell’Italsider e dell’Eternit.
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Intanto, mentre la magistratura ha sequestrato l’intera area, si è scoperta un’altra assurdità in queste fiera dello spreco. Come Il Mattino ha raccontato nei giorni scorsi, i tecnici del ministero dell’Ambiente del governo Monti hanno drasticamente ridotto l’area al centro dell’intervento. La bonifica serviva soltanto su 2 degli 8 milioni di metri quadrati di suolo, e dunque negli altri 6 milioni di metri quadrati di spazio si poteva già procedere con quanto previsto dal Piano regolatore e dalla variante della zona occidentale. Si poteva fare, e non gettare i soldi dalla finestra. Adesso invece il rischio è di sommare la beffa al danno, con un rimedio peggiore del male, visto che il sequestro di fatto impedisce qualsiasi intervento di risanamento. E blocca, tra l’altro, anche la prevista ricostruzione della Citta della Scienza. Speriamo che Napoli non si avviti, stretta tra l’impotenza del suo ceto politico e il vigore dell’azione della magistratura, in una nuova spirale di immobilismo. Sarebbe una sentenza di condanna che i suoi cittadini, almeno loro, non meritano.
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