La Barbie è sicuramente la bambola più famosa e vendita del mondo. Ma pochi consumatori sanno come e dove viene prodotta, nell’oscurità di quelle fabbriche cinesi che realizzano i due terzi dei giocattoli acquistati nell’intero mercato globale. A fare luce sui metodi di ingaggio e sui ritmi massacranti degli operai delle fabbriche della Barbie ci ha pensato un’attivista ambientale (il suo nome non può essere svelato per motivi di sicurezza) che ha fatto un’indagine sul campo, durata due settimane, per conto dell’organizzazione per i diritti dei lavoratori China labour watch, poi pubblicata grazie alla ong tedesca per i diritti umani Christliche Romero-Initiative.
Le cose che sono state scoperte dall’anonima attivista, tutte documentate anche con materiale fotografico, sono davvero raccapriccianti. La catena di montaggio non si ferma mai, e gli operai devono completare ogni minuto due prodotti. Altrimenti fioccano insulti, minacce e non viene concessa la pausa neanche per bere un bicchiere d’acqua. I costi del vitto e l’alloggio dove vivono i dipendenti della fabbrica che lavora per conto della Mattel, la multinazionale che produce la barbie in Cina, vengono detratti dallo stipendio, che prevede una paga di 280 euro al mese, e con una media mensile di 84 ore di straordinari (alcuni operai superano le 100 ore). Pur maneggiando sostanze inquinanti e pericolose, gli operai incaricati di produrre le Barbie non hanno alcuna protezione, il congedo di maternità non è riconosciuto alle donne neo-mamme e dalle copiose assunzioni sono escluse le persone che appartengono alle minoranze yi e uigura.
Non è la prima volta che si scoprono i misfatti che avvengono nelle fabbriche cinesi. Ma in questo caso ciò che più sorprende e indigna è il fatto che la Mattel non fa altro che predicare la sostenibilità, dichiarandosi impegnata a tutto tondo su questo fronte. In una recente intervista al periodico Toy Store, Anna Laura Siracusa, Head of Marketing and Digital di Mattel Italy, ha dichiarato: «La strategia e gli obiettivi ESG di Mattel si fondano su tre pilastri, due dei quali focalizzati sulla sostenibilità ambientale: design e sviluppo sostenibile da una parte, forniture e produzione responsabili dall’altra, rappresentano due delle aree su cui l’azienda ritiene di poter avere l’impatto maggiore». Chissà se nella “produzione responsabile” declamata dalla Mattel rientri anche il moderno schiavismo nelle fabbriche cinese dove si producono le sue Barbie. E dove l’azienda ha replicato all’inchiesta sul campo promettendo «un’indagine approfondita e indipendente». La stessa cosa che aveva detto nel 2020, quando furono scoperte le prime anomalie: ma all’annuncio dell’epoca non seguì alcuna decisione operativa. Da azienda sostenibile.
Foto di copertina tratta da Wikipedia
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