Basta sprechi. Viva la politica, ma deve costare meno …

Più di un milione di italiani vivono della politica e con la politica. Un vero ceto sociale che rappresenta il 5 per cento di tutti gli occupati, laddove la politica in Italia costa complessivamente qualcosa come 23,2 miliardi di euro, cioè l’1,5 per cento del prodotto interno lordo.

generosità e politica

Più di un milione di italiani vivono della politica e con la politica. Un vero ceto sociale che rappresenta il 5 per cento di tutti gli occupati, laddove la politica in Italia costa complessivamente qualcosa come 23,2 miliardi di euro, cioè l’1,5 per cento del prodotto interno lordo. E’ giusto? I conti tornano? Noi abbiamo bisogno come il pane di Politica, di buona politica, e innanzitutto di buoni partiti. E la politica costa, dunque un prezzo bisogna metterlo nel conto, altrimenti facciamo un puro esercizio di demagogia, molto pericoloso in questo momento di forti tensioni sociali nel Paese. Ma ci sono due aspetti che vanno considerati, anche per il ritorno della buona politica: gli enormi sprechi dei soldi nella spesa pubblica, con annessi e connessi in termini di privilegi e di spese assurde, e un cambiamento radicale che va fatto nei meccanismi di finanziamento dell’attività politica. Esaminiamo da vicino qualche numero.

I costo delle elezioni

Le elezioni per la Camera e il Senato rappresentano un conto di circa 500 milioni di euro, mentre per le regionali si scende a 200 milioni di euro. Cifre enormi, se ci riflettete, che hanno avuto alcuni tagli negli ultimissimi anni e che contengono un mostro chiamato “rimborsi elettorali”, cioè il finanziamento pubblico diretto ai partiti. Un trucco semantico per aggirare i risultati del referendum del 1993, quando gli italiani all’unanimità (97 per cento di sì) votarono a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. I rimborsi elettorali, cioè la forma diretta di finanziamento alle varie forze politiche, comprese quelle finte, sono diventati un vero pozzo nero la cui acqua che scorre all’interno è pagata dai contribuenti.

I rimborsi elettorali

Alle elezioni del 2008, per esempio, si sono sfidati due grandi partiti, il Popolo della libertà, nato dalla fusione tra Alleanza nazionale e Forza Italia, e il Partito democratico, partorito attraverso l’unione dei Democratici di sinistra e della Margherita. Se andiamo a dare un occhio ai rimborsi elettorali, che intanto il governo Monti ha dimezzato, portandoli da 182 milioni di euro a 91 milioni di euro, scopriamo che un assurdo meccanismo ha fatto in modo che il Popolo della Libertà e il Partito democratico potessero incassare i rimborsi elettorali per le politiche del 2008, ma allo stesso tempo Alleanza nazionale, Forza Italia, i Democratici di sinistra e la Margherita, potessero portare a casa il contributo per le elezioni precedenti, quelle del 2006.

La trasparenza?

Quanto alla trasparenza, siamo al buio pesto. I rimborsi elettorali hanno anche un senso, perché la politica costa, le campagne elettorali si pagano, e le strutture dei partiti, tutte elefantiache, non sono rette dai volontari della Caritas. Però i cittadini dovrebbero sapere e capire come sono spesi i soldi dei contribuenti. E invece i revisori dei conti della Camera, il massimo organo di controllo sui bilanci dei partiti, alzano le mani in segno di resa, dicendo che non possono fare un controllo di merito sulle spese dei partiti, perché la legge non lo consente. In pratica: se qualcuno, ed è successo, tra i rimborsi elettorali infila le vacanze in famiglia o la passione per gli alberghi e i ristoranti a cinque stelle, nessuno può impedirlo.

Rendicontazione questa sconosciuta

La rendicontazione delle spese dei nostri partiti, in molti casi, assomiglia a quella di un circolo sportivo, dove formalmente è sempre tutto ok, nella sostanza le maglie per difendere i costi folli, e impropri, della politica, sono larghissime. Forse per questo motivo solo il 40 per cento dei partiti in Italia pubblica on line il proprio bilancio. In America e in Gran Bretagna, dove i sistemi politici funzionano e dove certo non mancano casi di corruzione e di appropriazione indebita, tutti i partiti, nessuno escluso, devono comunque documentare e pubblicare, on line, i fondi ricevuti dai sostenitori privati e dalle aziende. In questi paesi non esiste un obbligo di rendicontazione del finanziamento pubblico in quanto di fatto non è previsto.

Lo spreco è bipartisan

La giostra dello spreco dei finanziamenti destinati alla politica ed ai partiti, in Italia si è allargata a macchia d’olio. Un fenomeno bipartisan, in base al quale non esiste una regione italiana dove la magistratura non abbia affondato il coltello per colpire le spese pazze di capigruppo, consiglieri, questori, presidenti, vicepresidenti. E la lista potrebbe continuare all’infinito. Anche in questo caso abbiamo visto partiti e uomini (le donne, per la verità, sono state sempre più sobrie) politici che hanno pensato bene di pagare con soldi pubblici le scuole dei figli, le macchine di lusso della moglie ( o dell’amante) capricciosa, le cartucce per andare a caccia, il barbiere, la spesa al supermercato, e via con un’altra lista infinita di rimborsi fuori dalla legalità e da un banale esercizio del buon senso.

Le ultime dal Consiglio regionale del Lazio

L’ultima notizia da questo vero fronte della corruzione di massa è fresca fresca: la Finanza si è presentata nella sede del Consiglio regionale del Lazio per sequestrare ricevute per spese ingiustificate, di consiglieri e capigruppo vari, pari a due milioni di euro. Gli indagati sono già 13 (peculato e finanziamento illecito) e nessuno ha dimenticato il pirotecnico caso di Franco Fiorito, ex capogruppo del Pdl alla regione Lazio, condannato lo scorso mese di maggio a tre anni e quattro mesi di carcere con rito abbreviato. Nello stesso filone di indagine compare Vincenzo Maruccio, ex capogruppo dell’Italia dei Valori, un partito fondato dal grande moralizzatore della Italia della Seconda Repubblica, l’ex parlamentare ed ex pubblico ministero Antonio Di Pietro.

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