Bauman, i nuovi consumi e l’Europa che non c’e’

Zygmunt Bauman, autore e pensatore prolifico ma non sempre convincente, nel suo ultimo libro (L’etica in un mondo di consumatori, editori Laterza, 234 pagine, 16 euro) ci consegna una fornita cassetta degli attrezzi per affrontare, da una posizione di forza e non con la debolezza della rassegnazione, i lati oscuri del mondo globale, che da […]

Zygmunt Bauman, autore e pensatore prolifico ma non sempre convincente, nel suo ultimo libro (L’etica in un mondo di consumatori, editori Laterza, 234 pagine, 16 euro) ci consegna una fornita cassetta degli attrezzi per affrontare, da una posizione di forza e non con la debolezza della rassegnazione, i lati oscuri del mondo globale, che da quando e’ esplosa la Grande Crisi e’ diventato l’oggetto di un intenso revisionismo dopo anni di esaltazione a senso unico. Bauman punta diritto all’etica come leva per opporsi alla forma squilibrata della globalizzazione, e attraverso l’uso di categorie piu’ filosofiche che sociologiche prova a declinare nuove scelte, individuali e collettive. Da qui, per esempio, il tentativo di smontare l’equazione piu’ consumi uguale piu’ felicita’. Semmai, osserva Bauman, il pendolo del mondo occidentale ha oscillato decisamente, negli ultimi trent’anni, verso un’affannosa rincorsa della ricchezza, attraverso il possesso compulsivo degli oggetti (spesso inutili e fonti di sprechi), che si e’ poi tradotto in un aumento dei disagi. O meglio di un malessere che ha le sembianze opposte rispetto alla felicita’. Stress, depressione, orari di lavoro lunghi e disagevoli, relazioni sfaldate, incertezza, intolleranza verso l’Altro: i sintomi e le patologie sono tanti e Bauman, immaginando la possibilita’ di raddrizzare il corso dei fiumi, ricorre all’etica come primo strumento per invertire la rotta dell’uomo contemporaneo. L’etica significa anche governare l’egoismo, e non esserne prigionieri; riscoprire creativita’ e passioni, liberandosi del narcisismo e della banalizzazione della bellezza. L’etica e’ ospitalita’, voglia di relazioni, non solo virtuali, riconoscimento della responsabilita’ come valore universale.
Dal punto di vista dei rimedi collettivi, invece, il libro scade nella solita censura al modello imperialista e guerrafondaio americano, assegnando all’Europa di tradizione illuminista (di radici cristiane nel libro non compare neanche un accenno) la missione di assumere un ruolo-guida per un nuovo modello di equilibrio globale. A parte la sottovalutazione dei nuovi “imperi”, dalla Cina all’India, con i quali l’America deve fare i conti per difendere la sua presunta egemonia, Bauman dovrebbe essere consapevole di quanto l’Europa sia finita in un cono d’ombra, di quanto la sua voglia di cambiamento si sia spenta, riducendo a una memoria perfino sbiadita la sua storia di luogo del pensiero forte. Certo: l’Europa, se ci fosse, potrebbe avere un ruolo importante sul piano geopolitico, rispetto al tandem Cina-Usa in versione G2, e dal punto di vista dell’affermazione di quei valori etici che fanno parte dei suoi codici genetici. Ma l’Europa semplicemente non c’e’, se non come spazio economico di una moneta unica. E una moneta condivisa, per quanto piu’ forte rispetto al giorno della sua nascita, non bastera’ mai a dare un orizzonte al mondo globale entrato, come in un brusco risveglio da un breve sonno, nel corto circuito di una crescita planetaria che ha aumentato l’ingiustizia laddove ci aveva fatto credere di poterla sconfiggere.

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