26 porti italiani. e altrettante città, in cui è possibile già vedere all’opera i “seabin” (letteralmente “bidoni del mare”), veri e propri contenitori che catturano tutta la plastica che incontrano, risucchiandola: dalle buste alle confezioni delle patatine, dai cotton fioc alle fibre microscopiche invisibili a occhio nudo.
L’ultimo arrivo, in ordine di tempo, è approdato nel porto Cosimo de’ Medici a Portoferraio, sull’Isola d’Elba: il seabin è in grado di catturare un chilo e mezzo di rifiuti ogni giorno, comprese microplastiche e microfibre.
Il funzionamento del cestino mangiaplastica è semplice: grazie all’azione del vento, i rifiuti vengono sospinti dentro al dispositivo e intrappolati nel contenitore che lo compone, che contiene fino a fino a 20 kg di immondizia, mentre l’acqua filtra e torna in circolo “pulita”. Per ora i bidoni mangiaplastica sono una piccola squadra di bidoni galleggianti messi in acqua grazie all’iniziativa promossa da LifeGate e sostenuta anche dalle amministrazioni locali.
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BIDONI MANGIAPLASTICA
Alcuni seabin hanno già iniziato l’opera di ripulitura da qualche anno, nelle aree portuali di Santa Margherita Ligure, nell’area marina protetta di Portofino, nel Porto delle Grazie a Roccella Ionica, e sull’Isola della Certosa, nei pressi di Venezia. Ma le installazioni proseguono: dai mari ai laghi, a Pescara, a Genova, a Brindisi, ma anche a Milano e a Trieste. Si parte, però, dalla città di Firenze, dove Seabin è stato sistemato a due passi da Ponte Vecchio ancorandolo a una piccola zattera. Il bidone mangiaplastica è alimentato ad energia elettrica, consuma meno di un euro al giorno e può recuperare oltre 500 chili di rifiuti all’anno, se posizionato correttamente. Il cestino mangiaplastica è altamente efficiente, necessitando di pochissima manutenzione. Ogni ora, infatti, filtra ben 25mila litri di acqua e le uniche operazioni di ripulitura che servono possono essere effettuate da chiunque, basta soltanto svuotarlo recuperando i rifiuti plastici e conferendoli negli appositi contenitori. Di sicuro non può bastare un cestino mangiaplastica per combattere l’inquinamento da microplastiche, ma può sicuramente costituire uno strumento utile ed efficace, soprattutto economico: per approntarne uno il costo da sostenere è di 15-20 mila euro tutto compreso.
SEABIN PROJECT
La benefit corporation italiana LifeGate ha deciso di lanciare la campagna “Plasticless” per promuovere l’utilizzo di questi bidoni mangiaplastica, che puliranno i porti italiani. “Quello delle plastiche e delle microplastiche è un tema molto sentito – ha spiegato a Repubblica.it Enea Roveda, Ceo di LifeGate – in collaborazione con il Seabin project stiamo mettendo questi cestini nei porti ma lavoriamo anche per poterli usare anche in altri ambiti, attaccati alle boe o alle navi che solcano il mare”.
L’idea di un bidone mangiaplastica, il prototipo di Seabin, è nata dall’intuizione di due surfisti australiani, Andrew Turton e Pete Ceglinski, per proteggere il mare e le onde che amano cavalcare. Gli australiani hanno creato una start up che ora distribuisce il seabin in tutte le parti del mondo con lo slogan: “Se abbiamo cestini a terra, perché non in mare?”.
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COME FUNZIONA SEABIN
Si tratta in realtà di un dispositivo molto semplice, destinato per il momento ad operare in un ambiente chiuso, come il porto appunto, dove si accumulano i rifiuti. Lavora incessantemente 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Galleggiando sull’orlo rimane appena sotto la superficie, l’acqua che entra viene filtrata ed espulsa mediante una pompa elettrica, mentre i rifiuti restano all’interno del contenitore, anche le fibre più piccole: “Riesce a pompare fino a 25.000 litri d’acqua all’ora e la manutenzione è abbastanza semplice, va svuotato ogni due settimane circa – ha spiegato Roveda – e dai dati che abbiamo possiamo stimare che un solo bidone è in grado di raccogliere fino a 500 chili di plastica in un anno”.
Per fare la differenza ci vorrebbero centinaia di seabin, dato che sono migliaia le tonnellate di plastica disperse negli oceani di tutto il mondo, però un primo passo è stato fatto ed entro l’autunno, assicura Roveda, una decina dovrebbero essere in acqua e operativi per ingoiare rifiuti: “Cinquecento chili all’anno sono qualcosa ma non si tratta certo della soluzione definitiva – ha sottolineato Roveda – ogni giorno 90 tonnellate finiscono solo nei mari italiani. Ma questo progetto nasce con una duplice ottica: innanzitutto rimuovere la plastica che c’è. E poi sensibilizzare la gente facendo loro capire che anche con azioni banali possiamo fare qualcosa di concreto. L’interesse per questi temi sta prendendo sempre più piede tra le persone”.
(Immagine in evidenza tratta da Repubblica.it // Photocredits: Repubblica.it)
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