BONUS SCUOLA INSEGNANTI –
Fatta la legge, si prova a smontarla. O comunque a ridiscuterla. È quanto sta avvenendo a proposito della riforma sulla scuola, presentata dal governo come «una rivoluzione» e adesso, ad appena sette mesi dalla sua approvazione, al centro di un clamoroso braccio di ferro. La miccia è esplosa in una riunione del 24 febbraio scorso tra i vertici del ministero dell’Istruzione, i sindacati ( i tre confederali e i due autonomi, Snals e Gilda) e il rappresentante dei dirigenti scolastici, gli ex presidi. C’era da fare il punto sui 200 milioni di un Fondo speciale che le scuole potranno distribuire (circa 18mila euro a istituto) ai docenti sulla base di tre criteri, scolpiti nella norma: qualità dell’insegnamento, risultati conseguiti e responsabilità assunte. In una parola: merito, che presuppone una valutazione. Merito e valutazione, due parole tabù, da sempre, nel nostro universo scolastico.
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MERITO E VALUTAZIONE –
Davanti agli sguardi attoniti di due direttori generali del ministero, Jacopo Greco (Personale) e Carmela Palumbo (Ordinamenti e Autonomia), i cinque sindacati, in blocco e unanimi, hanno fatto la loro richiesta. Trattandosi di un «salario accessorio», questa è la sintesi della rivendicazione, bisogna negoziarlo con le rappresentanze sindacali. Punto e basta. Poco importa se la legge dice altro, ed è già in via di applicazione: nella maggioranza delle scuole italiane, infatti, sono stati insediati i comitati di valutazione (con rappresentanti dei docenti, delle famiglie e degli studenti, e un membro esterno) che devono fissare i criteri per la distribuzione dei bonus che poi verranno assegnati ai singoli professori sulla base di una scelta del dirigente. E d’altra parte, nessuno meglio di un preside è in grado di conoscere e di valutare quali sono i docenti che meritano un riconoscimento aggiuntivo, rispetto allo stipendio base, per la qualità e i risultati del lavoro svolto. «Adesso almeno è chiaro l’obiettivo: il sindacato vuole affossare questa legge, renderla inapplicabile, calpestando lo Stato di diritto e le decisioni del Parlamento» protesta Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi «E vuole continuare a fare e disfare nella scuola italiana». «Non abbiamo bisogno di capi e capetti per applicare una riforma, dove è giusto che ci sia un nostro coinvolgimento nella sua gestione. La scuola è una comunità, non una caserma» replica, con altrettanta durezza, Maddalena Gissi, segretario nazionale della Cisl-Scuola.
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BONUS INSEGNANTI –
Il sindacato, che non ha mai nascosto la sua ostilità alla parte variabile degli stipendi degli insegnanti (nella prima versione della riforma doveva arrivare a circa un terzo del totale), dopo avere ingoiato la «Buona scuola», sta cercando di orientarla proprio nella sua parte più delicata e innovativa. E come soluzione al conflitto ormai esploso, propone di assegnare i soldi esattamente come avviene per la distribuzione del Fondo Istituzione Scolastica e del Fondo per l’offerta formativa, due strumenti, precedenti alla riforma del governo Renzi, e affidati alla trattativa con le rappresentanze sindacali. Traducendo, la richiesta è questa: il ministero assegna i soldi alla scuola, il comitato di valutazione fissa dei criteri generici per distribuirli, il sindacato tratta con il dirigente dell’istituto l’effettiva assegnazione delle risorse. E si ritrova così dominus di un ennesimo tesoretto che, in una scuola impoverita da decenni di elargizioni all’insegna del “tutto a tutti” e da continui tagli, diventa molto prezioso ai fini della distribuzione del potere nel settore dell’Istruzione. In genere, chi ha il controllo del portafoglio, comanda. In cambio, il sindacato concede la pax sociale all’interno dei singoli istituti e dell’intero sistema. «Il malcontento è enorme in tutte le scuole, e la nostra proposta serve a fermare il conflitto a monte. Se qualcuno lo esaspera, vorrà dire che avremo migliaia di provvedimenti di assegnazione dei bonus impugnati davanti ai tribunali, e faremo felici gli avvocati che lavorano in questo settore» avverte la Gissi.
Per il momento, i due direttori generali del ministero hanno potuto solo prendere tempo. Barricandosi, giustamente, nel dovere di riferire ai vertici politici, innanzitutto il ministro Stefania Giannini, prima di una decisione finale. E il dossier dal tavolo del ministro è già arrivato a palazzo Chigi, perché si aspetta una parola di Matteo Renzi, prima di assumere una posizione definitiva. Le uniche cose certe sono due. La prima è che i direttori del ministero hanno già avvisato i sindacati di tenersi pronti per una nuova convocazione nella prima decade di marzo, dunque a breve. La seconda, stando ad alcune indiscrezioni che abbiamo raccolto a Viale Trastevere, è che al nuovo appuntamento i super burocrati non si presenteranno a mani vuote, né tantomeno con l’idea di riprendere la discussione. Anzi. Metteranno sul tavolo una circolare ministeriale, da inviare a tutte le scuole italiane, che farà chiarezza sia sulla possibilità, o meno, di negoziare, in ogni singolo istituto, i bonus tra il dirigente dell’istituto e i sindacati; sia sulla composizione dei comitati di valutazione. Laddove i sindacati chiedono che possano funzionare solo se sono al completo, con tutti i componenti presenti al momento del voto. La guerra sulla «Buona Scuola», insomma, sembra appena iniziata, e toccherà al premier, più che al ministro Giannini, decidere se e come combatterla. Misurandone anche gli effetti, a breve, sul piano del consenso, come dice il segretario Maddalena Gissi: «Il governo farà bene a valutare il fatto che ci sono delle importanti elezioni amministrative alle porte, e non so quanto gli possa convenire, in questo momento, uno scontro in piazza sulla scuola…». Un altro messaggio molto esplicito.
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