Addio filari di viti, alberi d’ulivo, aranceti, campi coltivati a zucchine o melanzane. Per l’agricoltura italiana si prospetta un 2013 nero, proprio quando la situazione economica non è davvero idilliaca.
Cosa sta per succedere? Semplice. La relazione sulle Politiche agricole comunitarie, presentata dal commissario all’Agricoltura, il romeno Lacian Ciolos, prevede il progressivo passaggio dei rimborsi diretti della Ue dall’attuale spesa storica, estensione più qualità ed entità dei prodotti, alla semplice dimensione territoriale dell’azienda. Per l’Italia una vera "spada di Damocle". Nel giro di poco tempo i rimborsi calerebbero di quasi un miliardo: 800 milioni di euro rispetto ai 5 miliardi e 300 milioni del 2011.
Un esempio. Oggi, per ogni ettaro destinato ad un prodotto agricolo con il marchio di qualità il rimborso diretto dell’Unione Europea è di 2 mila euro l’anno. Con i nuovi parametri si ridurrebbe a duecento. Perché continuare a produrre olio di alta qualità o vino a denominazione d’origine controllata? Meglio mettere tutto a prato o a pascolo per ottenere rimborsi più alti. Il tutto in nome di una strana "green economy" che penalizza i paesi mediterranei, in primo luogo Grecia e Italia, proprio quelli che oggi se la passano peggio.
All’agricoltura 57 miliardi l’anno. Come funziona oggi il sistema agricolo europeo? La Ue stanzia 57 miliardi di euro l’anno per sostenere la produzione e lo sviluppo dei territori rurali. In soldoni, parliamo del 35 per cento del bilancio comunitario, secondo qualcuno una quota troppo ampia, " Va detto, però che, mentre altre politiche beneficiano dell’intervento nazionale – afferma Dario Stefàno, coordinatore nazione degli assessori all’Agricoltura – quella agricola è l’unica politica economica che gli Stati membri hanno completamente delegato all’Europa. Ma in termini di spesa pubblica complessivamente generata in Europa, l’agricolura intercetta risorse pari a meno dell’uno per cento".
Come viene oggi suddivisa la torta? Tra quelli in testa alla classifica, l’Italia incassa 5 miliardi e 300 milioni, meno del 10 per cento del totale, la Francia circa 10 miliardi, la Germania quasi 7, la Spagna ed il Regno Unito poco più di 4 miliardi di euro.
L’aria è cambiata con l’ingresso dei Paesi dell’Est europeo. Nazioni dove prevalgono le grandi distese pianeggianti, poco coltivate, con uno scarso valore aggiunto. Ma il loro massiccio ingresso nell’Unione Europea sta facendo pendere la bilancia verso un’agricoltura fatta di grandi pascoli dove gli investimenti sono minimi. Se poi aggiungiamo il consenso alle nuove politiche agricole di Francia e Germania c’è poco da stare allegri. Nei prossimi mesi, a Strasburgo, la battaglia sarà all’ultimo sangue: e l’Italia dovrà combattere fino alla fine visto che gli ultimi tre ministri all’Agricoltura, Zaia, Galan e Romano, per motivi diversi, hanno frequentato di rado il Parlamento Europeo.
I dati italiani. Eppure il settore agricolo è di vitale importanza per l’Italia e per l’Europa. Nei Paesi della Ue le aziende sono circa 10 milioni occupano una superficie agricola di 160 milioni di ettari e danno lavoro ad oltre 8 milioni di persone. In Italia i lavoratori impegnati nel settore sono 900 mila e le aziende circa due milioni. "Lo scarto evidente è dato dai "dopolavoristi" cioè quelle persone che hanno lasciato la campagna per un altro lavoro ma continuano ad impegnarsi nel settore – commenta Dario Stefàno, assessore all’Agricoltura della Regione Puglia – un fenomeno che conferma una sorta di nanismo strutturale nel quale spesso la famiglia coincide con l’apporto di lavoro aziendale. Malgrado tutto la produzione lorda vendibile supera i 40 miliardi di euro con un contributo al Prodotto interno lordo pari al 5 per cento. Questo contributo aumenta di molto se si considera il ruolo svolto dall’agricoltura nella produzione di qualità, Dop e Ipg, e dalla crescita costante degli agriturismi".
Intanto i tempi stringono. La relazione del commissario Ciolos prevede una trasformazione più o meno del 37 per cento della dimensione agricola in prato o pascolo e a pagarne le conseguenze saranno soprattutto delle aziende montane.
Le prospettive. Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? "Le proposte legislative per la nuova Politica agricola comunitaria 2013 -2020 – afferma l’assessore Stefàno – hanno suscitato non poche perplessità. Molti settori rischiano di entrare in una crisi profonda. In molti casi, soprattutto dove l’apporto del fattore lavoro è elevato, la riduzione dei premi sarà un ostacolo alla sostenibilità economica delle aziende. Inoltre agli agricoltori saranno chiesti maggiori impegni ambientali, tali da condizionare l’uso di oltre un terzo della superficie agricola. Vanno in questa direzione i requisiti di diversificazione delle colture e di creazione di aree ecologiche – continua Stefàno – previste dalla relazione Ciolos. Certo, la richiesta di maggiore attenzione ambientale è legittima, ma c’è il rischio di perdere porzioni importanti di tessuto agricolo che non saranno in grado di garantirsi la sopravvivenza – conclude – un danno economico, sociale e soprattutto ambientale difficilmente recuperabile".
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