Roberto Bagnoli
ROMA—La burocrazia amministrativa
costa alle imprese italiane
21,5 miliardi di euro l’anno. A occhio
e croce un punto e mezzo di
Pil. Nel programma di governo c’è
l’obiettivo di dimezzare il salasso
entro il 2012. A queste cifre guardava
probabilmente il ministro del
Tesoro Giulio Tremonti nel denunciare
la sindrome da carte e documenti
che asfissia il mondo delle
imprese. E infatti quell’onere improprio
di 21,5 miliardi è scritto a
pagina 107 del programma nazionale
di riforma (Pnr) approvato
dal governo settimana scorsa. A
quella cifra gli economisti di via
Venti Settembre sono arrivati misurando
le 71 procedure a più alto impatto
secondo gli obiettivi fissati
da Europa 2020. Sempre secondo il
Pnr sono già state definite misure
di semplificazione in materia di lavoro,
previdenza, ambiente e fisco
che comporteranno soprattutto
per le piccole e medie imprese un
risparmio stimato in 6,9 miliardi
l’anno a cui vanno aggiunti altri
900 milioni da minori spese sul
fronte della privacy e degli appalti
di cui si sta occupando la Camera
in questi giorni. Altri 3,8 miliardi
si risparmierebbero, secondo il Tesoro,
decentrando alcune funzioni
col federalismo, arrivando così alla
fatidica cifra complessiva di 11,6
miliardi di euro che è il valore della
«semplificazione» normativa cui
sta lavorando lo staff di Tremonti.
Per arrivare a questi giganteschi
volumi di spesa il Tesoro ha fatto
riferimento a un rapporto della
Commissione europea del 2005
che ha valutato in 70 miliardi i costi
totali amministrativi per l’Italia
(imprese, cittadini e istituzioni)
dei quali 12,8 riferibili a Bruxelles,
36,4 a livello statale e 21 a livello
locale. Proprio nel merito della valutazione
di quanti euro si potrebbero
risparmiare evitando lungaggini
burocratiche (gli adempimenti
fiscali in Italia sono 122 contro i
12 del Regno Unito, per esempio)
ieri gli uffici studi delle varie associazioni
imprenditoriali si sono
sbizzarriti. Secondo i calcoli degli
attivissimi artigiani di Mestre
(Cgia), una Pmi si vede gravare la
cifra di 1.200 euro all’anno su ogni
addetto. «Quasi una mensilità, un
vero salasso» ha commentato il segretario
Giuseppe Bortolussi che,
pur essendo di centrosinistra, ha
ammesso che «Tremonti ha ragione,
basta col fisco opprimente e la
burocrazia ottusa».
Facendo i paragoni con l’estero,
la Cgia ha scoperto che in Italia solo
solo
per pagare il fisco le aziende impiegano
285 ore l’anno contro le
215 della Germania e le 197 della
Spagna. Anche Rete Imprese Italia,
il nuovo network associativo che
raggruppa commercianti e artigiani,
ha preso la calcolatrice arrivando
a stimare in 2,7 miliardi l’anno
il costo delle imprese italiane solo
per «espletare» quattro adempimenti
fiscali come il 770, la dichiarazione
Iva, la comunicazione annuale
e i rimborsi Iva. Per Giorgio
Guerrini, presidente di turno della
Rete, «il ministro dell’Economia
ha recepito quanto le organizzazioni
imprenditoriali denunciano da
sempre».
Più guardinga la Confindustria,
dopo che nei giorni scorsi il presidente
Emma Marcegaglia aveva
giudicato deludente la politica economica
del governo troppo sbilanciata
sul rigore e con poche iniziative
per stimolare la crescita. Per il
vicepresidente Alberto Bombassei
è senz’altro «positivo l’allentamento
della pressione fiscale e dei controlli
anche perché l’evasione non
è tanto nelle grandi imprese ma
dappertutto». Così un altro vicepresidente
confindustriale, Diana
Bracco, ha detto «che non possiamo
che essere d’accordo con Tremonti
anche se ora si tratta di vedere
i fatti». Sulla stessa linea il numero
uno di Bnl e Assonime Luigi Abete
che avanza tuttavia il sospetto
che Tremonti si concentri sul fare
comunicazione anziché sulle azioni.
Per la Confindustria del resto la
lotta alla burocrazia e agli sprechi
della pubblica amministrazione è
un vecchio cavallo di battaglia. Già
al convegno della piccola e media
impresa tenuto a Palermo due anni
fa, un corposo studio del centro
studi denunciava — aggiungendo
al rapporto 2005 di Bruxelles quello
della World Bank del 2008,
Doing Business — come l’eccesso
di vincoli amministrativi fosse
un’ancora alle attività delle imprese
per circa 4 punti di Pil, circa 63
miliardi di euro. Sempre all’anno.
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