Lucha y Siesta: la casa rifugio per donne e minori vittime di violenza è a rischio sfratto. A rischio un presidio importante per la collettività

L'Azienda Trasporti Capitolina, ente a partecipazione pubblica proprietaria della palazzina occupata dal progetto Lucha y Siesta, ne chiede la restituzione per risanare i conti in rosso. Incurante del valore della casa per la collettività, che ha sostenuto ed aiutato, in dieci anni, 1105 donne e 300 bambini

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CASA RIFUGIO DONNE VITTIME DI VIOLENZA ROMA

Osservando Roma con un occhio meno patinato, se ne scorgono le contraddizioni, le città nella città, la Roma nascosta. E quella abbandonata. Già abbandonata, perché, come si legge nel blog romabbandonata, che si occupa di censire i luoghi dismessi, inutilizzati e quelli in stato di abbandono, sono tanti, troppi, gli edifici, su tutto il territorio della città di Roma, sottratti alla collettività per diventare luogo di sporcizia, topi, degrado quando non rifugi di micro sacche di criminalità. Beni demaniali, comunali, posti che appartenevano alla città quando erano utili, avevano una destinazione d’uso: depositi della partecipata dei trasporti, l’ATAC, rimesse dei tram, vecchi edifici della regione, sedi di uffici o ospedali non più in funzione. Che cadono a pezzi, esposti a incuria e intemperie.
Uno spreco enorme di denaro pubblico,opportunità e spazio in una città strangolata dal cemento e affogata nei debiti. In cui si tagliano servizi ai cittadini e alle cittadine, e tutto sembra raccontare la paralisi della bellissima Città Eterna.

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CENTRO ANTI-VIOLENZA LUCHA Y SIESTA ROMA

A volte, però, accade che, in periferia, qualcuno abbia un sogno grande come l’idea che lo sostiene: recuperarne uno e metterlo a disposizione delle donne vittime di violenza maschile e maltrattamenti. Renderlo una casa-rifugio, uno sportello di ascolto, un progetto di accoglienza abitativa e sociale, nonché di sostegno al reinserimento lavorativo. Nasce così lo spazio Lucha y Siesta, nel 2007, all’indomani del brutale femminicidio di Giovanna Reggiani, violentata e uccisa nei pressi della stazione di Tor di Quinto, sull’onda della rabbia e del lutto ma anche della necessità  di fare qualcosa in un’Italia, e in un comune, in cui ogni anno si riducono i finanziamenti ai centri anti-violenza e ai numerosi punti di accoglienza e sostegno alle donne maltrattate.

Così, Lucha y Siesta e le sue tante attiviste occupano un vecchio stabile ATAC dismesso, ci lavorano senza riposo, e lo tengono in piedi fino a oggi, recuperando un luogo sprecato e restituendolo alla collettività: alle donne che se ne servono, ma anche ai bambini e alle bambine, a tutte e tutti, con innumerevoli iniziative legate al quartiere e alla dimensione territoriale. Dai mercatini del biologico, ai corsi di sartoria. Tutto, in Lucha y Siesta, è volontario: dal lavoro delle operatrici, opportunamente formate da un’equipe di professioniste, alle attività che servono a mandare avanti la baracca.

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Casa Lucha y Siesta, copyright Sara Cervelli

PROGETTO LUCHA Y SIESTA

Tanto che le occupanti hanno calcolato il loro impegno e il valore prodotto per la città in termini di cifre: quanto costa il fatto che da 11 anni, la casa fornisca accoglienza e sostegno ai percorsi di autonomia e uscita dalla violenza per donne e i minori in difficoltà? Qual è il costo, e il conseguente risparmio per la collettività, per le circa 1200 donne sostenute nei loro percorsi di fuoriuscita dalla violenza in questo decennio? E ancora, quanto costano 11 anni di sportello di ascolto, e l’attività di supporto psicologico, legale e di mediazione culturale? Qual’è il costo dei lavori di ristrutturazione e manutenzione svolti nello stabile?

I costi calcolati, e quindi risparmiati, sono cifre enormi: in dieci anni il valore prodotto per la città di Roma, non solo simbolico, ammonta a più di un miliardo di euro.  

In più, Lucha Y Siesta gestisce, da sola, il 60% dei posti per accogliere donne che escono da situazioni di violenza di tutto il territorio comunale. Uno stabile occupato sì, ma ampiamente ripagato nel corso degli anni.

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CASA DELLE DONNE LUCHA Y SIESTA

Succede, però, che dopo una querelle infinita, l’Azienda Capitolina dei Trasporti con un bilancio in profondo rosso e per cercare di risanare le casse, decida di chiedere indietro tutti gli immobili di pertinenza, non curandosi del loro uso e nemmeno del valore aggiunto che essi hanno apportato al territorio. Tra i tanti, anche la palazzina a due piani con giardino ben curato che un tempo era fatiscente e che adesso ospita donne e minori che meritano un’altra opportunità e una vita libera da minacce e violenza. La chiamano “valorizzazione temporanea”, ed è una formula ambigua per coprire l’intento di togliere, per l’ennesima volta, valore al pubblico, alla collettività, alle cittadine e ai cittadini, per lasciarlo, se va bene, in mano a investitori e operatori finanziari interessati alla riqualificazione dello stabile nell’ottica di venderlo. Se va male, ancora all’abbandono, privando per ben due volte Roma di uno dei punti di ascolto e sostegno alle donne più riconosciuti e ormai, autorevoli.

La delibera comunale del 2011, che in sostanza dà il diritto ad ATAC di riappropriarsi dei beni immobili patrimoniali, si conclude così: «[…]anche al fine di migliorare la struttura urbana della città, la qualità della vita e produrre inclusione sociale». Le ragazze di Lucha y Siesta, le donne e i minori che la abitano rischiano di trovarsi senza casa. E poco importa se questo posto rinato e recuperato produca valore per il territorio, sia uno spazio ibrido di riflessione, condivisione e costruzione nonché un punto di riferimento per tutte e tutti coloro che abitano nel quadrante d Lucio Sestio-Cinecittà. Lo stesso Campidoglio,qualche mese fa, ne ha riconosciuto l’importante lavoro e il valore sociale. Oltre al danno, la beffa.

(Immagine in evidenza e a corredo del testo tratte dalla pagina Facebook di Lucha y Siesta)

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