Finti disoccupati: lo spreco è al capolinea. Governo a caccia di soldi per pagarli, mentre chi rischia davvero sono i veri disoccupati

Spese folli per i cassintegrati in deroga (almeno uno su quattro è falso) e adesso manca 1 miliardo di euro all'appello. Per la Calabria servono 450 milioni di euro, mentre in Piemonte, dove ci sono vere industrie in crisi, bastano 212 milioni di euro. I numeri non tornano: ma chi protegge i finti disoccupati?

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Lo spreco della cassa integrazione in deroga è arrivato al capolinea. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato cifre drammatiche e insostenibili: serve un miliardo in più, subito per finanziare l’aumento di questo rubinetto della spesa, e le domande continuano a volare. Soltanto nel febbraio di quest’anno le richieste sono aumentate del 55 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. A parte i conti pubblici in generale, il costo della cassa integrazione in deroga rischia di fare saltare la possibilità di finanziare qualsiasi intervento che aiuti i cittadini più deboli, come il salario minimo, e perfino la spinta alla nuova occupazione dei giovani. Uno spreco, dunque, che taglia le gambe, come avviene spesso con gli sperperi dei soldi pubblici, a qualsiasi cambiamento per proteggere zone grigie, privilegi e clientele.

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A conti fatti, nel 2013 questo strumento, nato per tamponare un’emergenza temporanea delle imprese in crisi e dei lavoratori senza stipendio, è costato più di 5,3 miliardi euro (la sola abolizione dell’Imu vale 3,8 miliardi), una cifra che nel 2008 era di poco superiore al miliardo. L’eplosione, progressiva e fuori controllo, è certo legata agli effetti della Grande Crisi sul tessuto produttivo, ma purtroppo ci sono altri elementi che pesano e fanno la differenza. Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera e deputato del Pd molto vicino all’ex premier Enrico Letta, ha dichiarato in Parlamento che almeno un cassintegrato in deroga su quattro è falso. Un’affermazione così pesante e da un fonte così autorevole, avrebbe scatenato il putiferio, e invece finora è passata sotto silenzio. Eppure delle due l’una: o Boccia dice il falso, e allora ne dovrebbe rispondere, oppure ha ragione e il governo, il Parlamento, i partiti, il sindacato, ne dovrebbero prendere atto. Nell’interesse, innanzitutto, dei cassintegrati veri, di milioni di lavoratori onesti, dei giovani che cercano lavoro e non hanno alcuna forma di sostegno da parte dello Stato. Di chi paga il conto, insomma, di questo spreco e di tanta disonestà, le famose bugie nazionali, nel non affrontarlo in modo radicale e trasparente.

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Andando a leggere i numeri e verificando le storie sul campo, si scopre che la denuncia di Boccia ha sicuramente una sponda in alcuni numeri che non tornano. In Calabria, per esempio, la spesa complessiva per cassa integrazione e mobilità in deroga arriva a più di 440 milioni di euro, e supera largamente quella della Lombardia (372 milioni di euro) dove certo la densità di aziende è molto più alta. E per non scaricare tutta la colpa degli sprechi e dell’assistenzialismo a buon mercato, se non delle autentiche truffe, sulle spalle dellle regioni meridionali, desta qualche sospetto il fatto che il Veneto presenta un conto di 561 milioni di euro, pari a più del doppio di quello del Piemonte (212 milioni di euro). La corsa a questi ammortizzatori sociali, in realtà, si traducendo, da anni, in una miscela esplosiva di emergenze reali, che come tali andrebbero affrontate, con un assistenzialismo diventato cronico e alimentato da favori e clientele politiche, sindacalismo compiacente e complice del misfatto, imprenditori (veri e finti) spregiudicati, impotenza degli organi di controllo, dei governi e dei parlamenti a fare pulizia. Tutta materia sulla quale aleggia perfino la corruzione, che invece andrebbe accertata in sede penale.

Ed è in questo clima che in diversi casi, la cassa integrazione in deroga si è trasformata in una sorta di stipendio garantito a vita. I lavoratori delle Case Riunite di Bari, è un esempio tra tanti, sono in cassa integrazione dal 1990, da più di un ventennio. Che senso ha un aiuto di questo genere? A chi giova veramente? Non era meglio, e meno costoso per lo Stato, accompagnare i lavoratori delle Case Riunite di Bari, magari attraverso una riconversione professionale, verso un nuovo posto di lavoro e sostenerli, innanzitutto sul piano economico, in questo percorso?

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A questo punto speriamo che Matteo Renzi, come ha promesso, riesca ad affrontare alla radice la piaga della cassa integrazione in deroga e che trovi il modo, con autorevolezza e responsabilità, per superare innanzitutto il veto di una parte del sindacato. Un veto sospetto perché la cassa integrazione in deroga, con le sue assurdità e le sue opacità, concede invece un potere chiaro e vincolante al sindacato: gli ammortizzatori non scattano se non arriva la sua firma. E forse questo spiega perché la riforma della cassa integrazione in deroga piace così poco.

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