Servono soldi per mettere in sicurezza l’Italia. E tanti. Lo ricordiamo ogni volta che una piccola o grande catastrofe si abbatte sul nostro Paese, portandosi dietro una scia di morti e di distruzioni. E i soldi mancano sempre, anche perchè non sappiamo spenderli e anzi li sprechiamo proprio nel nome di quella emergenza che si trasforma troppo spesso in una fonte di clientele. Ho appena letto sul quotidiano La Repubblica una dettagliata inchiesta su come sono stati spesi i soldi per il terremoto del 31 ottobre del 2002. Anche se la parola terremoto, in questo caso, non è corretta e si trattò piuttosto di una serie di scosse sismiche delle quali la più grave fece crollare la scuola Jovine con 27 bambini sepolti sotto le macerie: un crollo non dovuto alla fatalità, ma al fatto che quella scuola doveva essere chiusa, perchè non era a norma. Nel nome dunque di un presunto terremoto gli amministratori del Molise hanno speso in dieci anni quasi un miliardo di euro, con un metodo fondato su due anomalie. Allargare l’area dell’epicentro, e distribuire i soldi a pioggia, comprendendo anche opere che non erano necessarie. Così i comuni che hanno potuto beneficiare di questi finanziamenti da 14 sono diventati 84, e una parte consistente dei fondi sono stati concentrati a San Giuliano di Puglia, dove si trova la scuola Jovine. Peccato però che con queste preziose risorse si è costruita, in un comune di qualche migliaio di anime, una piscina olimpionica e un palazzetto dello sport. A chi serviranno è un mistero. Piuttosto con i 900 milioni di euro sprecati in Molise si potevano mettere in sicurezza tante scuole italiane (circa la metà sono a rischio), concentrando gli sforzi con un obiettivo preciso: garantire l’incolumità di alunni e insegnanti. Il copione raccontato da Repubblica si ripete, purtroppo, ad ogni emergenza, e non si riesce mai a intervenire secondo delle priorità e degli obiettivi precisi. Il risultato finale è che gli sprechi aumentano, e l’Italia è una pese sempre più a rischio.
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