Smartphone in classe, portiamolo a scuola. Ma insegniamo a usarlo senza esserne schiavi

Uno strumento utile, anche per la formazione. A condizione che ci sia l'educazione digitale. Cioè come utilizzarlo: per studiare, e non solo. E non per finire in una prigione di maleducati. O peggio. Un libro che aiuta a capire.

Smartphone in classe

SMARTPHONE IN CLASSE

Trovo piuttosto surreale, al confine dello spreco del tempo, il dibattito sull’uso dello smartphone a scuola dopo che la ministra Valeria Fedeli ha deciso di introdurre questo strumento nelle aule, con precise indicazioni di metodo (in gergo ministeriale si chiamano “linee guida”) individuate da una commissione di esperti. Di tutto ha bisogno la scuola italiana, tranne che di un’ennesima e logorante divisione tra insegnanti, famiglie, presidi e responsabili ministeriali. E se la discussione si inchioda al dilemma «smartphone sì, smartphone no» l’avvitamento nel nulla della rissa parolaia è assicurato.

Il punto di partenza è chiaro, e per la verità la ministra lo ha spiegato in modo anche esplicito. Chi può negare oggi che lo smartphone sia un’opportunità anche sul piano didattico e formativo? E chi ancora non ha preso atto che uno strumento del genere sia considerato oggi «indispensabile» da intere generazioni di ragazzi, anche per leggere, scrivere, studiare? Dunque, una scuola che non riesca a sintonizzarsi con un cambiamento così epocale, sarebbe semplicemente lunare, e fuori dal mondo, oltre che sconfitta in partenza rispetto ai suoi obiettivi.

Tutto ciò, però, non può ridursi, con il sigillo ministeriale, a una sorta di inchino trasversale, dagli alunni agli insegnanti passando per le famiglie, allo smartphone e in generale alle potenti seduzioni della tecnologia, velocissima nel suo aggiornamento di opportunità\rischi. Qui c’è il vero nodo da sciogliere, il vero guado da attraversare, e non solo dentro la scuola, ma innanzitutto nelle famiglie, e quindi nelle nostre case.

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EDUCAZIONE DIGITALE

Il passaggio dalla dimensione dell’opportunità, con lo smartphone e le relative applicazioni, al rischio di un’ottusa e inconsistente dipendenza, è davvero un filo sottile, una striscia di sabbia. Per evitare di attraversarla non servono circolari ministeriali, commissioni, indagini (ne abbiamo a quantità, con numeri che su questo sito ricordiamo spesso), ma serve la capacità di educare tutti, a partire proprio dagli alunni, a un rapporto non ancillare e di dipendenza, come se fosse una droga, con la tecnologia. Serve ciò che noi chiamiamo l’educazione digitale, intrisa di un nuovo umanesimo, di cui sentiamo profondamente la necessità: l’uomo, tutti gli uomini, rischiano infatti una sconfitta epocale se non riescono a riprendere il dominio, o almeno il controllo, della macchina. Compreso lo smartphone. Rischiano di fare il bis, con varie aggravanti, rispetto a quanto è già avvenuto con la televisione.

E purtroppo l’educazione digitale non si vede ancora nella scuola, e prima nelle famiglie. Date uno sguardo a quante famiglie al completo, allargate e non, al momento di sedersi a tavola si presentano a ranghi compatti, genitori e figli, tutti con lo smartphone ben piazzato accanto al piatto. Pronto a illuminarsi, o peggio, a squillare. Pericoloso per gli effetti devastanti, oltre che per la maleducazione che così esprime, come se fosse una pistola in un film-verità stile western.

CELLULARI A SCUOLA

Andate a vedere a quale livello di narcisismo arrivano padri e madri quando si mettono a fare gli smanettoni sul web, postando foto, video, e andando alla rincorsa dell’ultima brillante battuta. Comprese quelle che puzzano di rancore o di parole sgrammaticate. Lo smartphone così diventa un oggetto condiviso in una sorta di ubriacatura di massa, dove l’educazione è rasa al suolo dal primo all’ultimo passo. Altro che opportunità.

Leggete le drammatiche statistiche che riguardano gli incidenti automobilistici mortali, con vittime giovanissime: sono quasi sempre ragazzi immolati a questa nuova divinità tecnologica, che non riescono a usarla nel modo corretto ed a non usarla quando, per esempio, si guida o si attraversa la strada. E ci rimettono perfino la pelle.

Potrei andare avanti ancora a lungo, ma rischierei di annoiarvi. Vi segnalo invece, in proposito, un bel libro del giornalista Aldo Cazzullo, e dei suoi figli Rossana e Francesco, pubblicato da Mondadori con l’efficace titolo «Mettete via quel cellulare. Un papà. Due figli. Una rivoluzione». L’effetto conflitto, non solo generazionale, è raccontato con molti particolari. Tanto da suggerire un altro titolo per i lettori del sito Non sprecare: «Usate bene quel cellulare». E non fatevi schiacciare come mosche. Genitori e figli, alunni e insegnanti. Cioè tutti.

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DIVIETO UTILIZZO CELLULARE

Intanto, in Francia, il presidente Macron, nella sua riforma della scuola, ha previsto un divieto praticamente assoluto del cellulare. Non solo in classe, ma anche nei cortili, e dalle elementari alle superiori, cioè durante l’intero ciclo scolastico. I ricercatori del Centro per le performance economiche dell’autorevolissima London School of Economics hanno invece misurato l’effetto negativo, un vero spreco, dell’uso del cellulare in classe: è come perdere ogni anno una settimana di lezioni. Non solo. Confrontando i registri degli esami di 91 scuole inglesi e le politiche sui cellulari tra il 2001 e il 2013, i ricercatori della London School hanno scoperto che nelle scuole dove smartphone e gadget digitali erano banditi, i punteggi dei test miglioravano, in media, del 6,4 per cento. E le possibilità di superare gli esami finali del 2 per cento. Dunque in Gran Bretagna, dove il 90 per cento degli adolescenti possiede uno smartphone, gli esperti sono arrivati a una secca conclusione: impedirne l’uso in classe.

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