In appena tre mesi del 2021, da gennaio a marzo, la Cina ha immatricolato dieci milioni di macchine elettriche. In solo anno, nel 2020, la Cina ha installato impianti solari e eolici per una capacità pari a quattro volte l’intera dotazione dell’energia da fonti rinnovabili in Gran Bretagna. Siamo in presenza di un cambio di paradigma nel paese che resta il più grande inquinatore del mondo? Magari! A fronte di questi dati, tutti sotto il segno della sostenibilità, la Cina continua a produrre il 53 per cento dell’energia elettrica ricavata dal carbone in tutto il mondo. Non solo. Mentre in Europa la metà dei 324 impianti a carbone ha chiuso o lo farà entro il 2030, in Cina si continuano ad aprire e a programmare nuove centrali a carbone. Sempre nel 2020 sono stati approvati, infatti, nuovi progetti per 46 Gw: più dei tre anni precedenti messi insieme.
Indice degli argomenti
CHIUSURA CENTRALI A CARBONE
Da un lato la necessità di dare a tutti energia pulita e accessibile (obiettivo numero 7 dello Sviluppo sostenibile scolpito nell’Agenda Onu 2030), dall’altro versante rispettare la scadenza (in Italia è prevista per il 2025) di uscita dal carbone per la generazione di energia elettrica. Nel mondo, per dare un’idea del quadro di riferimento nel quale ci troviamo, si contano 840 milioni di persone che vivono ancora senza elettricità, e 3 miliardi di uomini e donne che non sono in grado di cucinare in modo pulito. Vite sprecate. In Italia, invece, l’energia c’è per tutti, anche se i costi sono troppo alti, e la media nazionale di quella prodotta da fonti rinnovabili (dunque senza il carbone) arriva al 17 per cento. Un livello troppo basso (sebbene in alcune aree del Nord, come Trento e Bolzano siamo sopra il 50 per cento) e, cosa più grave, in diminuzione rispetto al 2014. Anche per effetto di incentivi in passato troppo generosi che poi sono andati regredendo. In ogni caso, parlare di energia pulita, come è scritto nell’obiettivo 7 dello Sviluppo sostenibile, significa trovare una strada per l’uscita totale dal carbone, laddove, restando sempre al caso italiano, di centrali a carbone ne abbiamo ancora ben dodici.
DECARBONIZZAZIONE
L’addio al carbone è un pilastro della battaglia contro il surriscaldamento climatico, per ridurre le emissioni di gas serra (27,1 miliardi di tonnellate di anidride carbonica rilasciati nell’atmosfera nel 2018, anno record) e per accelerare lungo il percorso dei 17 traguardi dell’agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile. Su questo non ci piove. E grazie alla spinta dal basso del movimento dei giovani di Friday For Future, finalmente a questa conclusione è arrivato anche l’Onu, che ha chiesto ufficialmente a tutti i governi del mondo di smettere di costruire nuove centrali a carbone. E di convertire quelle esistenti. Cosa complessa, se per esempio facciamo il caso dell’Italia, dove le centrali a carbone coprono il 13,5 del fabbisogno elettrico del Paese e allo stesso tempo producono la bellezza di 39 milioni di tonnellate all’anno di C02.
ENERGIA PULITA E ACCESSIBILE
La complessità è evidente: servono soldi, e tanti. La Germania, solo per dire come si decidono le svolte green sul serio e non a colpi di annunci, ha messo sul tavolo 40 miliardi di euro per chiudere le sue centrali a carbone. Servono alternative: innanzitutto nelle rinnovabili e negli impianti a gas non inquinanti. E servono iter burocratici veloci, diretti, senza i soliti mille intralci che bloccano tutto, tenendo conto che la riconversione di un impianto ha bisogno di circa 4 anni per essere portata a termine.
ENERGIA PULITA E ACCESSIBILE
La complessità è evidente: servono soldi, e tanti. La Germania, solo per dire come si decidono le svolte green sul serio e non a colpi di annunci, ha messo sul tavolo 40 miliardi di euro per chiudere le sue centrali a carbone. E il Green Deal tedesco non è un titolo per i giornali, ma una precisa politica di governo. Visto che dal carbone arriva circa un terzo dell’elettricità prodotta in Germania (mentre le energie rinnovabili coprono il 35 per cento del fabbisogno), i soldi messi sul tavolo andranno innanzitutto alle regioni per finanziare la fase di transizione energetica. Bisogna realizzare nuovi progetti infrastrutturali, come nuove centrali a gas, e pagare il prezzo della riconversione dei lavoratori oggi occupati nelle centrali di carbone. Tra le ipotesi ci sono anche trasferimenti di manodopera nell’esercito, negli uffici governativi e nelle amministrazioni dei land. Ai 40 miliardi per le regioni, si aggiungono nel Green Deal tedesco altri 4,3 miliardi destinati invece alle imprese. Con alcune contropartite: Rwe, il più grande produttore tedesco di energia fossile, si è impegnato a salvare ciò che resta della foresta di Hambach, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, dove il colosso energetico ha tagliato una quantità enorme di alberi per fare posto a una miniera di lignite.
Oltre ai soldi, servono alternative: innanzitutto nelle rinnovabili e negli impianti a gas non inquinanti. E servono iter burocratici veloci, diretti, senza i soliti mille intralci che bloccano tutto, tenendo conto che la riconversione di un impianto ha bisogno di circa 4 anni per essere portata a termine. Anche in Gran Bretagna la scelta della decarbonizzazione è fatta e la scadenza prevista per chiudere le 5 centrali ancora attive (2025) potrebbe essere accelerata per effetto del Covid-19. L’epidemia ha fatto in modo che per la prima volta, dai tempi della Rivoluzione industriale e delle prime centrali, per 2 mesi consecutivi non è entrato in circolazione neanche un grammo di carbone. La riconversione inglese comprende 5 centrali: una nel Galles, di proprietà dei tedeschi di Rwe, per la quale la chiusura potrebbe avvenire entro il 2020, 4 in Inghilterra e una in Irlanda del Nord che invece spegneranno gli impianti entro il 2025. O magari prima. Risultati straordinari, se si pensa che soltanto dieci anni fa il carbone valeva il 40 per cento delle fonti energetiche della Gran Bretagna.
Infine, a proposito di chiarezza ed efficacia, bisogna sapere bene da dove si parte. Il carbone pesa per il 77 per cento della produzione di emissioni nel mondo, a fronte del fatto che vale il 38 per cento dell’intera torta di energia prodotta nel Pianeta. Inoltre le emissioni che produce sono particolarmente nocive, in quanto immette nell’atmosfera che respiriamo biossidi e le micidiali polveri sottili. Insomma, spreco puro, e innanzitutto di vite umane. Secondo la rivista Lancet, ogni anno nel mondo muoiono di inquinamento atmosferico 7 milioni di persone, di cui 2,9 solo per effetto di particolato e polveri sottili. Nei 15 paesi che emettono più gas serra, l’impatto sulla salute costa il 4 per cento del pil. Secondo New Scientist si estingue una specie vegetale o animale ogni venti minuti.
Visto che i numeri non sono opinioni, e considerando la quantità di emissioni collegate al carbone, una cosa è certa: dobbiamo uscirne. Altrimenti significa che non esiste una volontà autentica di contrastare il cambiamento climatico e diminuire la mortalità legata all’inquinamento atmosferico. Il problema è come uscirne, tenendo sempre presente che il mix energetico accompagnerà a lungo la transizione globale in questo settore.
VANTAGGI ELIMINAZIONE DEL CARBONE
Dunque la domanda è secca: si può vivere da oggi, e bene, senza il carbone? A chi non piacerebbe un mondo con l’aria più pulita per tutti, con meno anidride carbonica, con energia solo da fonti rinnovabili eliminando fonti antiche quanto inquinanti? Soltanto una persona poco informata, uno stupido, o chi è in malafede, a queste domande si sente in grado di rispondere con una doppia e presuntuosa certezza. Tipo: sì, possiamo restare tutti senza carbone (risposta alla prima domanda); a me dell’aria più pulita non me ne frega nulla (risposta alla seconda domanda). D’altra parte la sola idea che in Italia ci contino 500 morti premature all’anno, collegate all’inquinamento che deriva dal carbone, è raccapricciante. Sono vite sprecate, cosa indegna per un Paese moderno e sviluppato come il nostro.
Tornando alla domanda, se guardiamo al presente e al futuro con la bussola della vera sostenibilità, quella che il sito Non sprecare considera il suo faro editoriale, le risposte sono più complesse e presuppongono, per raggiungere gli obiettivi, un’operazione di verità. L’uscita dal carbone, comunque auspicabile e obiettivo essenziale e irrinunciabile, oltre che strategico, si può fare con la dovuta gradualità, che non significa fare melina, prendere tempo e mandare la palla in tribuna. Ma significa essere tifosi dell’ambienti armati di concretezza, rapidità ed efficienza nell’azione e spogliati da qualsiasi velleitarismo ideologico.
PER APPROFONDIRE: Energia rinnovabile, in Germania il comune alimentato solo con eolico, solare e biogas
CHIUSURA CENTRALI A CARBONE IN GERMANIA
Prendiamo il caso della Germania, una nazione davvero esemplare in Europa per le sue scelte di sviluppo sostenibile, sia dal punto di vista politico, sia sul piano del senso civico e della consapevolezza dei singoli cittadini, uno per uno. La Germania, ricordiamolo, ha già da tempo chiuso il libro del nucleare, lasciando in Europa questo fondamentale primato da potenza planetaria (le centrali nucleari) alla sola Francia. Ha fatto una scelta coraggiosa e forte come la puntata sull’auto elettrica, della quale abbiamo parlato in diverse occasioni, o come la diffusione dell’energia da fonti rinnovabili e pulite praticamente in tutto il Paese. Con diverse storie esemplari per l’Europa e per il mondo.
La Germania ha deciso di rinunciare al carbone entro il 2038, l’anno entro il quale saranno chiuse tutte le centrali a carbone presenti nel paese. Non parliamo di un dettaglio, in quanto nella Germania super green, modello per le grandi nazioni europee, il 40 per cento dell’elettricità arriva proprio dal carbone. E la chiusura delle centrali, secondo i calcoli di commissioni di super esperti, costerà al governo federale, e poi ai singoli land, ovvero le super regioni tedesche, un conto di 40 miliardi di euro. Non sono proprio bruscolini, come si dice in gergo.
Ma se si vuole stare nei binari dello sviluppo sostenibile e dare un calcio negli stinchi all’incubo delle emissioni di anidride carbonica, ovvero a una delle cause fondamentali del cambiamento climatico, bisogna fare una scelta da sistema-Paese. E quindi, come per il nucleare (la Germania ha deciso di rinunciare alle sue centrali nel 2011, dopo il disastro di Fukushima), così per il carbone, la rotta deve essere ben chiara ai naviganti, all’equipaggio di bordo ed al comandante, o comandanti, di turno.
Per favorire l’uscita dal carbone, in modo graduale, i tedeschi dovranno essere attenti, per esempio, a non fare schizzare i costi dell’energia (quella prodotta dal carbone costa meno), stangando le famiglie oltre che le aziende, dovranno creare nuove occasioni di lavoro, ispirate all’economia Non sprecare, laddove se ne perderanno di posti in seguito alla chiusura delle centrali. E dovranno mettere in campo incentivi pubblici che favoriscano la chiusura delle centrali a carbone e la loro riconversione e scelte anche di politica locale e di nuova partecipazione dei cittadini, aumentando il parco alberi e il verde nel Paese, ottimi antidoti contro gli effetti inquinanti del carbone, in attesa della sua definitiva dipartita.
ALBERI CONTRO EFFETTO SERRA IN AUSTRALIA
Già, gli alberi e il carbone. In un altro paese tra i più super green del mondo, l’Australia, il 60 per cento di tutta l’energia consumata, dal pubblico come dal privato, indovinate da quale fonte arriva? Dal carbone. E gli australiani, a differenza dei tedeschi, non hanno alcuna intenzione di smontare le loro centrali a carbone, ma vogliono anche ridurre le emissioni di anidride carbonica di una percentuale tra il 26 e il 28 per cento già entro il 2030, secondo quanto sottoscritto con gli accordi di Parigi del 2015.
Come fare quadrare il cerchio? Con gli alberi. Ed ecco il motivo per il quale il governo australiano, un paese dove di solito quando si prende un impegno con gli elettori, specie di natura ambientale, poi si mantiene, ha messo sul tavolo un piano straordinario per piantare un miliardo di alberi, entro il 2050, in diverse aree del Paese. Avete capito bene: un miliardo, non un milione, di alberi!
PER SAPERNE DI PIÙ: Il giornalaio più green d’Italia, la storia di Mauro Silenzi che con il suo comitato pianta centinaia di alberi a Porta Portese (foto)
CENTRALI A CARBONE IN AUSTRALIA
L’Australia, secondo esportatore al mondo di carbone (e al quarto posto nel pianeta per riserve di carbone), di fatto non può vivere, al momento e neanche tra qualche decennio, senza il carbone, che tra l’altro garantisce a tutte le famiglie elettricità a costi molto bassi ma, almeno, ne può depotenziare gli effetti inquinanti, attraverso la moltiplicazione all’infinito, come i pani e i pesci nelle pagine del Vangelo, degli alberi. Una prospettiva che non che fare la gioia di qualsiasi persona che ama l’ambiente, vuole difendere la natura, e sogna un mondo davvero più sostenibile. Anche per il fatto che piantare un miliardo di alberi, significa creare lavoro, per esempio nel settore forestale dove già lavorano 52mila australiani, oppure nelle infrastrutture, che saranno necessarie per realizzare il piano di un miliardo di alberi. Puntare sul rimboschimento, ecco il succo della lezione australiana, non solo è uno strumento essenziale per contrastare i cambiamenti economici, ma è anche una leva decisiva per fare sviluppo economico, occupazione, e diffondere benessere in tutti i settori della società.
CENTRALI A CARBONE IN ITALIA
Germania, Australia, solo per fare due esempi molto efficaci e utili per capire le vie d’uscita possibili dai danni causati dal carbone: e l’Italia? L’ultimo Piano integrato per l’energia e l’ambiente, che risale al gennaio del 2019, prevede che entro il 2025 saranno spente le dodici centrali di carbone presenti nel nostro Paese, a partire dalle due in Sardegna, dove circa il 40 per cento del fabbisogno energetico è coperto proprio dal carbone. Vedremo se l’Italia riuscirà a mantenere la promessa di uscire dal carbone con i relativi investimenti necessari (per esempio l’arrivo del metano in Sardegna, visto che la regione non ha accesso alla rete nazionale del gas, e l’interconnessione elettrica dell’isola con il continente o con la Sicilia). In attesa dell’evoluzione del piano per mandare in pensione il carbone, possiamo però batterci tutti per aumentare gli alberi, magari non sognando un miliardo di nuovi fusti, come in Australia, ma almeno evitando di distruggere quelli che abbiamo. E piantandone altri, tanti altri. Ovunque.
DECARBONIZZAZIONE IN ITALIA
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