Blocchi stradali, sit in, proteste a raffica: la partenza della riforma Severino, che prevede la chiusura di 30 tribunali e 220 sedi distaccate, si è consumata in un clima di grande tensione, con gli avvocati e i cancellieri in prima fila a contestare la nuova geografia giudiziaria. Intanto, bisogna riconoscere al ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, il merito di avere mantenuto dritta la barra del cambiamento, senza cedere alle pressioni bipartisan dei parlamentari che volevano rinviare l’entrata in vigore della legge approvata dal precedente governo.
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Questa riforma ha tre aspetti importanti, da difendere di fronte agli interessi corporativi e locali di chi intenderebbe smontarla pezzo su pezzo. In primo luogo rappresenta un risparmio vero in termini di spesa pubblica, almeno 80 milioni di euro l’anno, laddove si continua a parlare di spending review senza mai tagliare un euro nella catena degli sprechi nazionali. Una seconda qualità della legge è che, stando anche alle previsioni dell’Associazione nazionale dei magistrati e del Csm, a regime la nuova geografia dei tribunali migliorerà l’efficienza e il funzionamento della macchina giudiziaria. Certo: è probabile che serviranno alcuni correttivi per distribuire meglio i carichi di lavoro e affrontare senza traumi la fase di transizione. Ma per fare questo basterà il buon senso e la vigilanza attiva del ministero, e non è necessario rimettere in discussione l’impianto della legge.
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Infine, la riforma Severino introduce un precedente importante per spezzare la vecchia e nefasta tendenza al “campanilismo dei servizi”. Per troppi anni abbiamo assistito alla moltiplicazione sul territorio dei luoghi e degli spazi della pubblica amministrazione, dai tribunali agli ospedali passando per le sedi universitarie, soltanto per assecondare interessi di politici e di piccole lobby locali, senza alcun vantaggio per i cittadini in termini di qualità dei servizi. E con l’aggravante di un dissennato aumento di quella spesa pubblica che oggi mette a rischio la tenuta dei conti del sistema Italia e impedisce gli investimenti necessari a rilanciare l’economia. La legge Severino, l’unica vera riforma del governo Monti, è un piccolo mattone nel cantiere per modernizzare l’Italia: guai a depotenziarla, cedendo alla rivolta di una minoranza che non riesce mai a guardare oltre al proprio ombelico.
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