Cina prima al mondo per energia rinnovabile

Pur essendo il paese responsabile delle maggiori emissioni di gas serra, la Cina sarà in grado, entro il 2030, di produrre il 60 per cento dell’energia rinnovabile mondiale

energia rinnovabile cina scaled

La politica energetica della Cina ha tante facce, che dobbiamo seguire per capire come si muove che produce la maggiore quantità di emissioni nocive al mondo, dando un contributo decisivo alla crisi climatica. La prima faccia è quella scura, dell’accelerazione sul carbone, con la costruzione di nuove mega-centrali per avere scorte a sufficiente di un combustibile fossile per eccellenza, laddove la Cina non possiede giacimenti petroliferi e di gas. 

La secondo faccia è quella chiara, con i maxi investimenti nelle rinnovabili che porteranno la Cina, entro il 2030, a controllare il 60 per cento dell’intera produzione mondiale di energia proveniente da questa fonte. L’Agenzia internazionale dell’energia sottolinea che ormai la Cina, capace di coprire l’intera filiera delle rinnovabili, è il principale produttore di turbine eoliche, pannelli solari, veicoli elettrici, batterie agli ioni di litio. E controlla, sempre da una posizione di primato, l’estrazione di tutti i minerali necessari per i dispositivi destinati ai consumatori.

In comune le due facce hanno la bussola politica che le ispira: un governo forte e autoritario, che non accetta alcun dissenso al momento della costruzione degli impianti (cosa che invece avviene di norma nei paesi della democrazia occidentale), e spinge la Cina a una posizione autarchica, nello scacchiere internazionale, come se i cittadini di questo paese non avessero bisogno di alcun negoziato globale per affrontare con scelte politiche condivise la crisi climatica. La Cina è diventata uno dei principali responsabili del totale fallimento, ormai rituale, delle annuali e inutili Conferenze sul clima (le famigerate COP) convocate sotto le insegne dell’Onu.

Grazie a investimenti stellari nel campo delle energie pulite, declinati anche come strumenti di crescita economica e sociale, la Cina ha raggiunto, con sei anni di anticipo, l’obiettivo di 1.200 gigawatt di capacità solare ed eolica installata, mentre il sorpasso delle vendite dei veicoli elettrici rispetto a quelli a benzina e diesel è già raggiunto nel 2025, con cinque anni di anticipo rispetto alla scadenza prevista del 2030. 

Resta il fatto che, nonostante la marcia a tappe forzate della sua economia green, la Cina resta il paese responsabile del 30 per cento delle emissioni globali di Co2, e questo significa due cose. A distanza di oltre un secolo, sembra trovare conferma il celebre «paradosso di Jevons», proposto dall’economista William Stanley Jevon nel suo testo The Coal Question pubblicato nel 1856, quando il progresso tecnologico aveva consentito di aumentare enormemente la produzione di carbone, ma non per questo ne aveva ridotto in consumo, migliorando le condizioni ambientali generali. Anzi. Così oggi il progresso tecnologico che consente l’enorme sviluppo delle rinnovabili, non è detto che si traduca in modo automatico in una riduzione della produzione e del consumo di energia da fonti fossili, con il relativo impatto ambientale. E qui veniamo alla seconda considerazione: la vera svolta in campo energetico ci sarà quando si riusciranno a prendere decisioni condivise nelle sedi internazionali. A partire dalle ormai inutili Conferenze sul clima (COP), di fatto sequestrate dai lobbisti del carbone, del gas, e del petrolio. Quelli che lavorano contro il cambiamento, e al momento sembrano i più forti. 

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