Pulizia. Silenzio. E il ritorno degli animali. Abbiamo visto le anatre a piazza di Spagna a Roma, i delfini nel porto di Cagliari, i cinghiali nel centro di Parigi. E ancora: capre, scimmie e pavoni. Ma a parte l’imprevisto ritorno di una fauna dimenticata, una piacevole cartolina da tempi di Covid-19, il quadro delle nostre città è completamente mutato per effetto della pandemia.
CITTÀ SOSTENIBILI
L’azzeramento del traffico e il prolungato lockdown hanno a consentito a tutti gli abitanti dei centri urbani di sperimentare un nuovo stile di vita. Con meno inquinamento e più solidarietà. Sotto il segno del goal numero 11 dell’Agenda Onu-2030 per lo Sviluppo sostenibile , così intitolato: «Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili».
COME RIPENSARE LE CITTÀ
Quanto resterà di questa lezione che abbiamo avuto per il futuro, anche quello ravvicinato? E quanto riusciremo a non sprecare di un’occasione per avvicinarci a obiettivi concreti, oggi più di ieri a portata di mano, con interventi mirati, ma a tutto campo, per una nuova vivibilità urbana? E ancora: possiamo immaginare una città dove, al netto delle differenze sociali ed economiche che nessuno può cancellare, la qualità della vita migliori per tutti? Sono domande decisive per il nostro futuro, alle quali possiamo dare risposte precise partendo da quanto abbiamo visto durante la quarantena.
COME CAMBIANO LE CITTÀ
La lezione della pandemia è molto chiara: se non sprechiamo le risorse tecnologiche, possiamo sottrarre le città dall’infernale caos, che porta anche inquinamento e problemi di salute, delle «ore di punta». Quando il traffico nel tragitto casa-luogo di lavoro diventa insostenibile, specialmente per i pendolari che arrivano dalla periferia e devono raggiungere le zone centrali. E quando anche la rete del trasporto pubblico va in sofferenza. Lo smartworking ormai è entrato nei nostri stili di vita, dunque in futuro, anche quando non vivremo più sotto l’incubo del Covid e della sua trasmissione, potremo utilizzarlo con molta efficacia. Per esempio, diversificando orari e modalità di lavoro. Un dipendente potrà così lavorare da casa la mattina e raggiungere l’ufficio il pomeriggio, o viceversa. In ogni caso non ci sarebbe più il traffico delle «ore di punta» e la circolazione di auto, e l’affollamento dei mezzi pubblici, verrebbero spalmati nel corso della giornata. Gli esperti descrivono questo fenomeno come l’appiattimento della curva di domanda e offerta di mobilità urbana. Ma vediamo più da vicino quali sono i perni attorno ai quali gli abitanti delle città stanno sperimentando un nuovo modo di vivere.
CITTÀ SOSTENIBILI MOBILITÀ
- La riduzione delle auto in circolazione. Questo sembra un punto sempre più acquisito della mobilità sostenibile. Chi era ancora scettico, durante la pandemia ha trovato una risposta sul campo: l’auto in città, salvo casi eccezionali e se la rete del trasporto pubblico e dei servizi di sharing sono ben organizzate, non serve. È un puro spreco, di costi, di benessere e di aria pulita. E diminuire la circolazione delle auto del 60 per cento nei centri urbani entro il 2030 è indispensabile, ma purtroppo non sufficiente, per evitare un surriscaldamento globale dagli effetti disastrosi.
- L’alternativa all’auto. A parte l’auto in affitto a breve scadenza, la pandemia ha mostrato quanto sia ampia l’offerta alternativa rispetto all’automobile in città. Ieri avevamo macchine e moto in condivisione, poi sono arrivate le bici alle quali adesso si abbinano i monopattini. Tutto ciò si combina con un ripensamento degli spazi: le strade possono diventare meno ingombranti per ricavare piste ciclabili in sicurezza (soltanto Milano ha annunciato, dopo lo scoppio della pandemia, di volere trasformare 35 chilometri di strade carrabili in piste ciclabili) ed a questo punto ci saranno anche più occasioni per aumentare la percentuale del verde urbano. Intanto, meno auto significherà anche meno caos cittadino, meno stress degli abitanti, meno morti dovuti agli incidenti stradali e all’inquinamento. E, come abbiamo detto dall’inizio e come abbiamo visto durante il lockdown, un altro tipo di qualità dell’aria rispetto a quella che respiriamo da decenni.
- Il percorso obbligato dei mezzi pubblici. Una città sostenibile, come dice l’Agenda Onu 2030, deve essere inclusiva e deve fare in modo che le distanze tra i cittadini vadano a diminuire, non ad aumentare. Questa regola fondamentale, a proposito di mobilità, passa per un punto vitale: il potenziamento dei mezzi pubblici. Non ci sarà mai una città con un nuovo modo di vivere, più sostenibile, senza che la sua rete di trasporto pubblico non sia efficiente e alla portata di tutti, ma proprio tutti, i cittadini. In Italia questo percorso è ancora tutto da costruire. Abbiamo ancora poche, troppo poche, città, spesso di media grandezza, dove i trasporti pubblici sono economici ed efficienti allo stesso tempo. L’età media dei nostri autobus è di 12,2 anni, il doppio dei mezzi pubblici tedeschi, francesi e spagnoli. La quota di autobus e linee tramviarie con tecnologia elettrica, come quella di Firenze gestita dalla francese RATP, sono ancora una percentuale molto bassa. E ciò penalizza le fasce più deboli dei cittadini che non possono rinunciare all’auto per mancanza di una concreta e conveniente alternativa fatta di mezzi pubblici.
- Trasporti gratis per alcune categorie. Sarebbe bello fare tutti come in Lussemburgo, dove i trasporti pubblici sono gratis per ciascun cittadino. Con questa mossa il governo ha stravolto la mobilità, in particolare a favore dei lavoratori pendolari che arrivano in Lussemburgo dalla Francia, dalla Germania e dal Belgio. Anche in Svezia vengono offerti pacchetti di abbonamenti ai mezzi pubblici con alcune settimane a costo zero per incentivare la rinuncia all’auto. Sono scelte costose, inutile dirlo, che però vanno valutate rispetto al rapporto tra costi e benefici e alle categorie di cittadini alle quali si possono applicare. Prima della pandemia 15 città in Francia, e capitali come Tallin in Estonia, avevano già imboccato la strada di non fare pagare il biglietto ai viaggiatori.
Poi durante la crisi sanitaria molte amministrazioni locali, in città di tutto il mondo, hanno reso gratuiti i trasporti pubblici per categorie di lavoratori essenziali e per le persone più vulnerabili. Si può pensare a qualcosa del genere in via definitiva, con azioni coordinate pubblico-privato (anche le imprese hanno interesse a migliorare la mobilità dei loro lavoratori) e senza penalizzare le aziende che gestiscono il servizio dopo una regolare gara di appalto. In fondo, mettere i soldi sul tavolo per dare ad alcune categorie il trasporto pubblico gratuito è una forma di ciò che manca da tempo: politiche di redistribuzione del reddito e di aiuto, non sotto forma di puro sussidio, a pezzi più svantaggiati della società. E un modo per finanziare le politiche sociali nel settore del trasporto pubblico e gli investimenti per ammodernare servizi e mezzi è quello di attingere dalla voce dei ricavi che le amministrazioni comunali possono mettere in bilancio sotto la voce Pedaggi urbani. Più usi la macchina nei centri urbani, più paghi e finanzi così il trasporto pubblico.
PER APPROFONDIRE: I segreti di Oslo, dove autobus e tram sono elettrici. E si ricaricano in otto minuti. Mentre sono fermi al capolinea (foto)
Il caso più avanzato in Europa, dove ci sono diverse città che hanno scelto l’opzione del trasporto pubblico gratuito, è quello di Dunkerque, un comune che comprende 17 municipalità. I risultati sono molto incoraggianti: la metà dei nuovi utenti delle rete del trasporto pubblico ha rinunciato all’uso dell’auto e per un terzo si tratta di cittadini che appartengono a categorie deboli, più esposte alla crisi economica post coronavirus. A parte i benefici per l’inquinamento, a Dunkerque, da quando è partita l’operazione «Autobus per tutti e gratis», gli incassi nella rete dei negozi e dei centri commerciali sono aumentati del 20 per cento. Infine, questa scelta di politica amministrativa si è tradotta in 4,5 milioni di euro di mancati incassi per un anno. Una cifra che il comune può assolutamente consentirsi.
- Tariffe modulari. Per arrivare al trasporto gratuito per le fasce più deboli della popolazione, si possono applicare anche moduli di prezzo che tengano conto della diversa tipologia di clientela e consentano alle aziende del trasporto locale di mantenere i conti in equilibrio. Faccio il caso di una metropoli italiana dove il trasporto pubblico locale è efficiente: Milano. Qui l’abbonamento giornaliero per l’intera rete costa 7 euro al giorno (fino al luglio del 2019 erano 4,50 euro), molto meno di una singola corsa di taxi. Il comune ha tutti gli strumenti per alzare la tariffa a chi può tranquillamente permetterselo (pensate all’utenza business) per recuperare risorse da destinare ai biglietti gratuiti per le fasce bisognose.
- Più marciapiedi. Anche la mobilità pedonale, nelle nuove città sostenibili, va incentivata. Innanzitutto aumentando la quota di spazio destinata a chi sceglie l’idea di una passeggiata per raggiungere la propria abitazione o un luogo di lavoro. Aumentare le zone pedonali, come le piste ciclabili, significa incentivare scelte che portano benessere ai cittadini e significa ridurre i rischi per la sicurezza durante la circolazione. Un caso per tutti: nelle città del Regno Unito ogni anno seimila pedoni muoiono o restano gravemente feriti a causa di incidenti stradali.
CITTÀ SOSTENIBILI SMART WORKING
La lezione dello smart working. L’Italia, con la pandemia, ha scoperto un’opportunità di lavoro che finora aveva sempre sprecato. Tra l’altro il paese, con la sua fisionomia molto articolata, dal borgo alla metropoli, si presta bene al lavoro da casa. Superato il pregiudizio culturale, adesso si tratta di investire sulla tecnologia, sulle connessioni, sulle infrastrutture, sulle reti. Al momento, mentre ormai siamo entrati nell’era del 5G, soltanto un quarto delle famiglie italiane hanno accesso alla banda larga. Superare il deficit di tecnologia urbana è fondamentale per creare l’ambiente giusto per il lavoro da casa, e non si tratta di investimenti che non possiamo permetterci. La città più attrezzata al mondo per lo smart working non si trova in America o nello stato di Israele, ma è Bucarest, la capitale della Romania. Usciti della dittatura di Nicolae Ceausescu, i romeni hanno scommesso sulla tecnologia per rendere Bucarest una metropoli molto attrattiva. E hanno vinto. La capitale della Romania ha il primato mondiale della quantità di lavori a distanza, per ciascuna categoria: il 4,33 per cento del totale. Roma e Milano non superano, rispettivamente, lo 0,61 per cento e l’1,08 per cento. E la velocità di connessione media è pari a un terzo di quella che si registra nella metropoli romena.
CITTÀ SOSTENIBILI SMART CITY
La città intelligente. Quando si parla di «città intelligente» non ci riferisce solo a un ambiente accogliente per quanto riguarda la mobilità e il lavoro ed a interventi di riqualificazione energetica negli spazi pubblici e privati. Ci sono anche gli sprechi da eliminare. Come quello dell’illuminazione pubblica (circa 1 miliardo di euro l’anno per colpa di impianti obsoleti ed energivori). O come quello relativo alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti. Una smart city è sempre più in grado, anche attraverso sensori e droni, di avere sotto controllo, in tempo reale, la tracciabilità dei rifiuti. E capire così come intervenire negli snodi dove si verificano criticità. Una smart city coltiva lo sviluppo tecnologico anche per rafforzare il senso civico e i legami di comunità sul territorio tra i cittadini. Con una semplice app, Decoro urbano, ogni singolo cittadino può segnalare affissioni abusive, strade insozzate, violazioni di elementari regole di buon senso. Ed è sempre la tecnologia, attraverso i social e la formazione di gruppi su Internet, che consente di aumentare il livello di associazione e di partecipazione dei cittadini alla gestione del bene comune. Dal piantare gli alberi ad occuparsi della pulizia dei marciapiedi.
L’ordinaria manutenzione. Una città dove avanza il computer non prevede l’arretramento delle antiche regole di buona amministrazione locale. Sul territorio. Quartiere per quartiere, strada per strada. Un sindaco e una giunta, per quanto riusciranno a dotare la propria città di dispositivi tecnologici super avanzati, dovranno sempre avere lo sguardo puntato sull’ordinaria amministrazione. Strade pulite, marciapiedi decorsi, rifiuti raccolti, trasporti efficienti, animali domestici assistiti. Sono regole eterne che vanno applicate alzando il livello di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e decentrando, in senso poliarchico, l’amministrazione della città. Ogni quartiere deve rispondere della sua ordinaria amministrazione.
CITTÀ SOSTENIBILI EDILIZIA E COMMERCIO
I negozi di quartiere. Si sono rivisti all’opera durante la quarantena, ed è stata una buona occasione per dimostrarne l’essenzialità. Recuperare, con un’attività di ricamo urbanistico, i piccoli negozi di quartiere, comprese botteghe artigianali di varia natura, significa restituire luce e funzioni ai centri storici che abbiamo visto declinare da decenni. Ma significa anche articolare l’offerta commerciale su tutto il territorio urbano, cercando il più possibile di mescolare le diverse tipologie dei punti vendita. Una buona copertura commerciale, con i negozi di quartiere, rassicura e protegge meglio gli abitanti della zona.
L’ammodernamento delle strutture abitative. Questa è la più importante scommessa sul cambiamento delle città. Non ci saranno città sostenibili, con minori separazioni sociali, senza interventi di grande portata sul piano abitativo. Serve qualcosa che ricordi il «Piano casa» (noto anche come «Piano Fanfani») che negli anni Cinquanta arrivò alla costruzione di 2.800 case alla settimana, e all’assegnazione degli appartamenti a 600 famiglie ogni sette giorni. Una rivoluzione, che portò benessere, sviluppo e lavoro. Finanziata dallo Stato, ma anche da trattenute sulle buste paga dei lavoratori (0,60 per cento) e sui redditi degli imprenditori (1,2 per cento). Un «Piano casa» in versione Duemila non è pensabile, nelle stesse modalità. Ma è possibile invece realizzarlo attraverso due leve. La prima è quello che l’architetto Renzo Piano definisce «il recupero chirurgico» delle periferie, che devono essere avvicinate ai centri urbani attraverso la creazione di nuovi spazi. Giardini, biblioteche, asili, scuole di formazione. Nuove periferie dove sia possibile aumentare l’offerta di casa, migliorando però la qualità dei servizi sul territorio. Poi c’è la seconda leva: il recupero, a fini abitativi, del patrimonio edilizio pubblico. Completamente sprecato. L’Italia è piena di palazzi, ex uffici, caserme, abbandonati e non utilizzati: soltanto a Roma si parla di un patrimonio di oltre 1 milione di metri quadrati. Da qui dovrebbe partire un moderno «Piano casa» del nuovo millennio. Con una città sempre più polifunzionale e multicentrica.
Il Covid-19, anche per il futuro delle nostre città è una grande occasione da non sprecare. Le città sono sempre state costrette a ripensarsi e riorganizzarsi in seguito a gravi crisi sanitarie che ne hanno scosso alla radice i connotati: è stato così anche nel secolo scorso, in tempi abbastanza recenti. Quando la città moderna è nata, e non è mai più uscita dalla nostra vita di tutti i giorni, dopo la febbre gialla degli anni Venti e la tubercolosi durante la Seconda guerra mondiale. Chissà che il coronavirus non spalanchi le porte alla nuova città.
CITTÀ MODELLO PER I NUOVI STILI DI VITA:
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