COME CAPIRE IL TEMPO IN CUI VIVIAMO
Un libro come una bussola per affrontare con più serenità e con maggiore energia i tempi complicati che viviamo. Così Corrado Augias presenta ai lettori di Repubblica, nel video che pubblichiamo, il libro Prigionieri del presente (edizioni Einaudi), scritto da Antonio Galdo con Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis, il più autorevole osservatore della società italiana.
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PRIGIONIERI DEL PRESENTE CORRADO AUGIAS
Dice Augias: «Questo libro contiene un monito, un invito pressante, ad allungare lo sguardo per capire il tempo in cui viviamo. Avanti, verso il futuro, e indietro, verso la storia e la memoria». Al contrario il tempo ridotto a un eterno presente, a un’affannosa sequenza di attimi, il tempo dell’ora e subito, ci condanna a una nuova forma di schiavitù. Una prigionia, della quale un effetto evidente è il cedere alla pressione della fretta: più il tempo si sbriciola, più la nostra identità ripiega, rattrappisce nell’Io, piccolo e solo Io, e si barrica nel culto del narcisismo.
COSA SIGNIFICA ESSERE PRIGIONIERI DEL PRESENTE
Prigionieri del presente significa essere schiavi delle nostre protesi elettroniche. Illudersi che il sapere sia on demand, riconducibile cioè a una serie di domande e risposte ricevute attraverso il web. Il vero sapere, invece, è una lenta accumulazione di conoscenze e competenze trasversali, che si accumulano lungo il percorso del tempo lineare e non nell’attimo di un clic sullo smartphone. È sempre il presente, la fretta, l’ora e subito, che hanno ridotto di circa un terzo le nostre relazioni affettive reali, dalla carezza al bacio, sbilanciandoci verso una somma di rapporti virtuali. Rapporti che non producono emozioni e passioni, ma solo pulsioni, pronte ad evaporare con la stessa rapidità con la quale sono apparse.
LA SCHIAVITÚ DEL PRESENTE
Prigionieri del presente, accumuliamo rancore, rabbia, invidia sociale. E anche informazioni distorte rispetto alla realtà. Un esempio per tutti? Più della metà degli italiani si sentono insicuri, e questo è comprensibile. Ma attribuiscono la loro insicurezza all’«invasione degli immigrati», e questa è una percezione infondata. In realtà gli immigrati italiani, a parte casi gravissimi di cattiva integrazione, sono ormai ben integrati con la popolazione residente. Vanno a scuola, lavorano, aprono imprese e negozi: come e meglio degli italiani. Eppure, a forza di amplificare messaggi come una sequenza di slogan sembra che il Paese sia stato travolto da un’onda lunga di immigrazione.
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