COME COMBATTERE LA CORRUZIONE
In Sierra Leone, dove si contano 5mila tangenti al minuto, è stato istituito una sorta di numero verde, il 515, per denunciare chi chiede una mazzetta. In Italia, che ha il record della corruzione in Europa, preceduta solo dalla Bulgaria, finalmente si è attrezzato un unico fronte, l’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, per contrastare in modo efficace quella che possiamo considerare la più pesante palla al piede del Paese.
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COME RISOLVERE IL PROBLEMA DELLA CORRUZIONE
Per carità, non facciamo confusione tra una nazione povera dell’Africa e l’Italia, eppure con un minimo di onestà intellettuale bisogna riconoscere almeno due importanti similitudini che avvicinano due universi così lontani, dal punto di vista delle condizioni economiche e sociali. Primo punto di contatto: in Africa non ci sarà mai un riscatto del Continente e della sua popolazione senza risultati concreti e diffusi sul versante della lotta alla corruzione; in Italia non ci sarà mai una vera ripresa economica e tantomeno un nuovo ciclo di boom economico, se non riusciamo a riportare l’uso corrente della tangente e della mazzetta a livelli fisiologici, perlomeno allineati con le altre nazioni più sviluppate del mondo occidentale, il nostro club di riferimento.
Secondo: l’80 per cento della popolazione della Sierra Leone ammette di essere “costretta” (le virgolette sono d’obbligo) a pagare tangenti per servizi pubblici che sulla carta sono gratuiti; il 90 per cento degli italiani, in particolare chi lavora nell’universo delle imprese, è convinto che la corruzione e la raccomandazione, due lati di una stessa medaglia chiamata illegalità di massa, siano il modo più facile, e talvolta l’unico, per ottenere un servizio pubblico che pure spetta di diritto al cittadino. Come vedete, sommando i due punti di contatto Sierra Leone e Italia risultano due paesi più vicini di quello che sembra.
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La conferma di questa analisi, piuttosto deprimente, bisogna riconoscerlo, arriva da un libricino, dal titolo molto indicativo (È normale lo fanno tutti, edizioni Chiarelettere), scritto da Michele Corradino, magistrato del Consiglio di Stato, già capo di gabinetto di diversi ministri, e da un paio di anni commissario, a fianco di Cantone, dell’Autorità nazionale anticorruzione. Corradino utilizza un metodo quasi narrativo per raccontare la capillarità del fenomeno, e attraverso la ricostruzione di intercettazioni telefoniche e ambientali, pubblicate nel corso degli ultimi anni su diversi giornali, fa diventare l’epica della mazzetta e della tangente una sorta di Romanzo Criminale del nostro Paese.
Fortunatamente, non mancano quadretti esilaranti, battute da cinema neorealista, nei dialoghi tra affaristi e tra corrotti e corruttori. Allo stesso tempo il commissario, ormai è questa la funzione di Corradino, ci ricorda alcuni effetti collaterali, danni e sprechi sistemici, della corruzione in Italia. Per esempio: la stima di 60 miliardi l’anno elaborata dalla Corte dei Conti, poi riveduta e corretta (ma è davvero così importante stabilire al centesimo, ammesso che sia possibile, il danno economico della corruzione? Non basta quello che vediamo tutti i giorni, solo sfogliando i giornali o navigando nell’informazione via web?), oppure il fatto che ogni punto perso nella classifica di Transparency International, dove non facciamo che scivolare verso il basso, si traduce in un taglio del 16 per cento degli investimenti dall’estero.
CORRUZIONE IN ITALIA
Corradino mette sul tavolo terapie possibili, che francamente già conosciamo e siamo solo in attesa di vederle applicate: appalti più trasparenti ed efficaci oppure una legge, breve e chiara, che regolamenti le lobby in Italia, abituate invece ad agire in una sorta di zona grigia dove la corruzione diventa quasi automatica. E poi insiste molto nel richiamo alla necessità di “una svolta culturale”, concetto molto caro innanzitutto a Cantone che firma l’introduzione del libro. E qui non possiamo che fare affidamento sulla categoria dell’ottimismo della volontà, cercando di guardarci allo specchio, spolverando i nostri abiti dalla patina della retorica, e ricordandoci chi siamo davvero. Altrimenti rischiamo di passare dalla cronaca alle favole.
Per gli italiani, l’onestà non è ancora un valore condiviso, un punto fermo nella nostra vita di comunità, qualcosa che unisce perfino dal punto di vista, non marginale ai fini di una «svolta culturale», della convenienza reciproca. Ci manca un rapporto organico con l’etimologia di questa parola, laddove honestus, come scriveva Cicerone, è l’uomo degno di onore. Una categoria che non rientra in una legge, in una sanzione, in un qualsiasi deterrente anticorruzione, ma fa parte della parte più intima, e quindi più solida, della persona e del cittadino.
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