Mano a mano che si esaurisce la narrazione, scritta con la penna della retorica, degli italiani tutti uniti che si affacciano al balcone e cantano «Nessun dorma» oppure esibiscono le bandiere nazionali, mano a mano che evapora questa idea, purtroppo falsa, di un Paese unito e responsabile, viene fuori il nostre peggiore limite, come popolo e come nazione. L’eterna contrapposizione. Gli uni contro gli altri. Come nell’Italia dei guelfi e dei ghibellini, come nell’Italia fascista e post fascista, popoli da separati in casa, come nell’Italia che ha sempre bisogno di spaccarsi in due, e di considerare l’altro alla stregua di un nemico. Da abbattere, con l’insulto o con la violenza. Con un atteggiamento che sembra preso a prestito da un film su Netflix, Ultras, che suggeriamo ai nostri lettori di guardare, per capire a quale deriva umana può portare un’idea della vita fondata sull’odio rancoroso del tifoso scellerato.
COME CONVIVERE CON IL CORONAVIRUS
Un dualismo che incrocia spaccature geografiche, il congenito dualismo Nord-Sud, stili di vita, pensate solo all’abisso nelle percentuali della raccolta differenziata, e modi di stare al mondo. Una divisione endemica che rappresenta lo spreco maggiore delle qualità degli italiani, incapaci sempre di vivere le differenze come una fonte di ricchezze, salvaguardando quindi gli interessi generali, un sistema- Paese da condividere e non da radere al suolo.
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UNITÀ RIPARTENZA CORONAVIRUS
Partiamo dalla prima fonte della spaccatura: la ripartenza. Il governo, e le regioni, ci hanno messo del loro per creare disagi e screzi, con una pioggia di decreti complicati e talvolta incomprensibili. Abbiamo sprecato intere giornate a catalogare l’amicizia come un affetto stabile o transitorio, e la domanda resta ancora senza risposta.
Il Paese questa volta si è rovesciato: di solito sono le regioni del Nord che si lamentano della palla al piede delle regioni del Sud, impoverite dalla mancanza di iniziativa privata e inquinate dalla piovra della malavita organizzata. È tornata di moda, con un’altra discussione pubblica demenziale, l’antichissima teoria del Sud abitato da un popolo inferiore. Nel frattempo, il coronavirus ha messo le regioni del Mezzogiorno, decisamente meno colpite dal Covid-19, nelle condizioni di dire agli abitanti delle regioni Settentrionali: statevene a casa vostra, non vogliamo correre rischi per il vostro arrivo. Un rancore sordo e violento, vissuto come una manna dal cielo per prendersi una rivincita rispetto all’atavico razzismo che ancora circola nelle vene di una popolazione mai unita davvero. Un rancore che non promette nulla di buono e che rischia di sommare nuove a vecchie divisioni, laddove servirebbe esattamente il contrario. Se non altro per una banale questione di interessi.
COME FAR RIPARTIRE L’ITALIA
Questo sito ha sempre raccontato e affermato l’esigenza di sviluppare il Mezzogiorno, emanciparlo e affrancarlo dalla malavita, attorno a un concetto semplice: senza il Sud, l’Italia non c’è, non esiste. Punto. E dunque senza la ripresa del Sud, non ci sarà mai la ripresa dell’Italia. Stessa cosa, a parti invertite, per la ripresa del dopo-emergenza da coronavirus. Chi dovrebbe riempire alberghi, ristoranti e bar delle regioni meridionali durante la stagione estiva? Abbiamo capito che gli stranieri non arriveranno, o comunque saranno una piccola minoranza: vogliamo che il Sud perda anche i clienti veneti, lombardi e piemontesi? Sarebbe una follia.
Piuttosto ci piacerebbe vivere in un Paese dove chi amministra, al centro e in periferia, tenga conto, in modo ragionevole, delle diversità territoriali. Ci sono attività economiche, vite sociali e relazioni, che al Sud possono riprendere più velocemente che al Nord. Bisogna prenderne atto, senza scatenare invidie e incertezze, ma semmai accompagnando questo processo. E ai cittadini, al Nord come al Sud, non dovrebbe che fare piacere l’introduzione di provvedimenti a macchia di leopardo. Significherebbero solo una ripresa più veloce e più sicura. Per tutti.
Una seconda fonte di scontri, anche violenti, è legata ai nostri comportamenti individuali. Siamo diventati tutti maestri del senso civico. A forza di sentirci dire di essere bravi e rigorosi, ci crediamo davvero e diamo lezioni. Fateci caso: a noi è capitato più di una volta di trovarci a scene di questo genere. Una signora incontra un uomo in fila davanti al giornalaio, all’aria aperta, e inizia ad apostrofarlo: «Lei è un incivile, non ha né guanti né mascherina…». E lui, attonito: «Scusi, ma all’aria aperta non sono obbligatori». «Lasci perdere la legge, qui si tratta di senso di responsabilità!» replica la donna. A quel punto si passa alle urla e agli insulti.
CORONAVIRUS IMPORTANZA COESIONE PER RIPARTENZA
Ora, cerchiamo di essere chiari e lucidi, anche con un pizzico di umiltà: non è facile districarsi nella giungla di regole, quelle locali si sovrappongono a quelle nazionali, ma una volta chiarito il principio in base al quale se esiste un norma bisogna rispettarla, per il resto possiamo lasciare alla libertà individuale le decisioni da prendere? Per noi di Non sprecare esiste un motto. Massima libertà, massima responsabilità. Mai come in questo momento abbiamo il desiderio di difenderlo. Sulle mascherine esiste un’ampia letteratura che vede gli esperti, cosa che capita quasi sempre, divisi rispetto alle modalità del loro uso, e dunque se uno rispetta le norme sarà pure libero di usare la propria responsabilità come crede, con un ampio e consentito margine di autonomia, senza essere aggredito e insultato a freddo.
Ci stiamo dividendo perfino sulla messa, e la Chiesa fa fatica a stare dietro a queste fratture che mettono in campo coscienza e buon senso, fede e sicurezza. Ha voglia di sgolarsi papa Francesco nel chiedere cautela, pazienza e rispetto: la verità è che esistono fedeli che in chiesa non vogliono più metterci piede e altri che stanno fuori i portoni a chiedere il ritorno delle celebrazioni dal vivo. Chi ha ragione? Nessuno dei due. E in ogni caso, ogni punto di vista merita rispetto e non può essere considerato come un segno di scarso senso civico o di stupidità. La patente di responsabilità non è stata ancora inventata, e certo non esiste una piccola casta di più responsabili che possono assegnarla.
Piuttosto esiste un verbo, quello chiave per le nuove fasi che ci aspettano come cittadini e come comunità: convivere. Dovremo sempre più imparare a convivere con il Covid-19. A convivere tra di noi, nella diversità di opinioni e di stati d’animo, e non nell’inerzia della solitudine autoreferenziale. E la convivenza ha la sua radice nel prefisso con, che significa insieme e non contro.
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