L’importanza di saper dire no ai figli

Troppo narcisismo, e poca voglia di assumersi responsabilità. Così diventa più facile dire sempre sì ai figli. Il conflitto serve a crescere

come dire no ai figli

Non esiste, per un genitore, parola più difficile da pronunciare con un figlio: no. Specie nell’era del narcisismo dilagante, dei selfie a ripetizione per auto-celebrarsi come padre e come madre, del genitore che riuncia alla sua autorevolezza e si trasforma in amicone dei figli, pronto a cedere. Eppure il no (e se, come e quando saperlo dire) è essenziale per una buona educazione dei figli, all’interno di un dialogo serrato, ma sempre costruttivo. Il libro dello psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancisi, con il significativo titolo Abbiamo bisogno di voi genitori (edizioni Mondadori), mette sul tavolo proprio il tema delle regole saltate nell’educazione dei figli e di questa strisciante incapacità dei genitori a pronunciare il fatidico no.

Perché è importante dire no ai figli

Faccio due premesse: sono convinto che non esista un metodo unico per il difficilissimo, ma meraviglioso mestiere di padre e\o di madre. Ogni figlio è una persona, e ogni persona va considerata nella sua unicità. A casa, a scuola, sul lavoro: ovunque. In secondo luogo, al netto della follia che sicuramente appartiene a questa storia da Male assoluto, esiste sicuramente un tema di trasmissione di valori, di sapere, di amore, tra genitori e figli, al di là delle questioni patrimoniali, che purtroppo continuiamo a trascurare. Salvo poi sentirci, come genitori, in colpa, e, come figli, vittime. Questo tema è centrale per l’equilibro non solo di una singola famiglia, ma dell’intera società italiana. Pensateci solo un attimo, e senza presupposti, o pregiudizi, religiosi: che cosa sarebbe il nostro Paese se non ci fosse stato, per generazioni, un legame fortissimo genitori-figli e un circuito che coinvolgendo anche la scuola ha creato un meccanismo virtuoso di trasmissione generazionale, oggi spezzato? Sarebbe stato certamente un Paese peggiore, ben peggiore di quello con il quale dobbiamo adesso fare i conti.

Tornare a comunicare in famiglia, non lasciarsi risucchiare dal gorgo del nefasto silenzio, significa, con umiltà e forse anche con un tantino di sana leggerezza, tornare a imparare una parte faticosissima del mestiere del genitore: il convincente rigore con il quale dobbiamo imparare a dire dei no. Convincente, perché non si può dire no a un figlio senza, in qualche modo, convincerlo, o almeno provarci. E quanto al rigore, i sì sono certo più comodi e più semplici del no.

Ma anche restituendo a ciascun genitore la propria responsabilità e la propria autorevolezza, non ci può essere una buona comunicazione in famiglia se gli spazi si chiudono. Tutti chiusi con il proprio smartphone incollato al corpo, o con la tv sempre accesa in sottofondo. Tutti zitti e muti a occuparsi solo di sé stessi. Tutti incapaci perfino di scegliere l’approccio giusto con il quale iniziare un dialogo con il figlio (“Ti devo parlare” o “Vorrei dirti una cosa, ma visto che stai messaggiando, ne parliamo quando hai finito”?), mentre abbiamo smarrito perfino il piacere delle piccole comunicazioni fugaci. A volte basterebbero davvero pochi minuti, pochi attimi, per andare in scioltezza sulla strada del dialogo.

Vivi lieve per acquisti online

Come dire no senza sensi di colpa

Ora, per carità, non chiedetemi ricette specifiche, e non fatevi infinocchiare dal tam tam degli esperti o dei super consulenti, dai consigli tanto al chilo, però una domanda potete farvela, guardandovi allo specchio: Quanto amore siete riusciti a dare a un vostro figlio, rinunciando a un pezzetto del vostro narcisismo? E quanto narcisismo, invece, avete trasmesso, da genitore, ai figli, magari inconsapevolmente? Sono domande che, da genitori, dovremmo farci più spesso, senza scivolare nella zona grigia dei sensi di colpa per i quali il sì diventa quasi una risposta automatica.

Il no non deve spaventare, in fondo è un modo per assumersi le responsabilità di genitore, e anche per addentrarsi nel territorio incerto, ma molto fertile, del conflitto genitori-figli. Un conflitto appannato in un’epoca nella quale il principio di autorità, da non confondere con l’autoritarismo, è sbiadito e molti genitori in fondo preferiscono acquistare, a saldi, l’acquiescenza dei figli. Il no può avere diverse gradazioni: da una più morbida, che comprende anche le contestuali spiegazioni, a quella più dura che possiamo sintetizzare nella formula “non ne voglio parlare”. Anche la pausa di un silenzio può essere salutare. Purché sia transitoria e non diventi il gelo  della separatezza, un dolore che non auguriamo né ai genitori né ai figli. Il no con i figli si pronuncia ascoltando, con gentilezza, con rispetto, ma anche con fermezza. Magari offrendo delle alternative a una richiesta poco convincente, che siamo portati ad accettare solo per debolezza e per la paura di generare un conflitto. 

Leggi anche:

Vuoi conoscere una selezione delle nostre notizie?
Torna in alto