Istinto, cuore, testa. Algoritmi. Come prendiamo le nostre decisioni? Come riuscire a orientarsi in una selva oscura, una vera giungla, fatta ogni giorno, pensate, di circa 35mila, piccole e involontarie, ma talvolta molto importanti, decisioni? Un tempo, la vita era più semplice, le scelte da fare minori (almeno di numero) e una bussola, talvolta decisiva, arrivava dall’esperienza. Dal consiglio del saggio di turno. Al quale, per i più coraggiosi, si abbinava la voglia di sperimentare, l’abilità di andare oltre ciò che già e noto e conclamato. A quel punto valeva l’antica frase pronunciata da Cesare attraversando il Rubicone: «Il dado è tratto».
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Quante decisioni prendiamo ogni giorno
Leggendo un libro dello storico Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, scopriamo ciò che già in qualche modo percepiamo. Gli algoritmi stanno avanzando, il nostro cuore sta arretrando. Saranno sempre più gli algoritmi, l’intelligenza artificiale, e dunque la tecnologia, a orientare le nostre decisioni, grazie anche al carburante dei Big Data che noi abbiamo messo a loro disposizione. Gratuitamente e anche inconsapevolmente. Resterà poco, in termini di sentimenti umani, nei nostri processi decisionali e pazienza se l’algoritmo, proprio come un pilota automatico, dovesse commettere qualche errore.
Non sappiamo quanto il futuro indicato da Harari sia ineluttabile, ciò che consideriamo sicuro, invece, è il declino dell’uomo, lo spreco dei suoi sentimenti e in qualche modo anche della sua ragione, di fronte allo sfondamento della tecnologia nella sfera delle decisioni. Una sfera intima, privata, personale. Dove la macchina dovrebbe entrare solo se e quando lo desideriamo noi. E non viceversa.
Abbiamo bisogno, dunque, di costruire qualche forma di autodifesa. Qualche barriera che ci consenta di riprendere in mano il bandolo della matassa della decisione e rimetterci al centro del campo, come protagonisti e non come attori teleguidati dall’esterno. Riscopriamo così il valore analitico di una decisione, e di un metodo per arrivarci nel modo migliore. Seguendo un percorso fatto di tappe, che una volta individuate riusciamo a coprire quasi in modo automatico. E molto più efficacemente dell’intelligenza artificiale.
Non pensare solo al risultato
Il primo errore, talvolta fatale, è quello di concentrarci sul risultato. L’epoca della prestazione, della performance della competizione e del risultato da portare a casa, ci spinge a costruire, anche sul piano mentale, un’equazione tra la decisione che dobbiamo prendere e l’obiettivo che ci siamo dati. Non è così. Ci sono decisioni che hanno effetti immediati, altre che invece aprono un percorso, il cui risultato non può essere definito in anticipo.
Prendete il caso di un genitore: quante decisioni deve prendere rispetto alle scelte formative nei confronti di un figlio. L’errore è orientarle alla creazione, quasi in laboratorio, di un uomo che sia il migliore del mondo, con le migliori qualità e senza alcun difetto. Risultato impossibile. Molto meglio limitarsi a circoscrivere il perimetro delle proprie decisioni al dovere di un genitore di essere presente. Al momento giusto e nel modo giusto. E con l’essenziale obiettivo di dare a un figlio la bussola della libertà abbinata alla responsabilità. Poi il percorso, e i risultati, saranno opera sua, del figlio, e non del genitore.
Discorso analogo riguarda il lavoro. Nessuno può contestare il desiderio di avere una sicurezza professionale, ottenere un risultato sul lavoro, e portare a casa l’autonomia finanziaria, prima, e i successi di una buona carriera, dopo. Ma fin qui siamo ai risultati. Ciò che invece deve diventare prevalente, nel prendere una decisione sul lavoro e nell’orientare anche in questo campo le proprie scelte, è il percorso, il processo che ci porta a fare, o desiderare di fare, alcune cose. E sul lavoro le più grandi soddisfazioni possono arrivare se riusciamo a coltivare passione, interesse, curiosità. Senza sprecare il talento del quale siamo forniti.
Chiedere consigli e coltivare il dubbio
L’algoritmo non chiede consigli, noi dobbiamo fare il contrario quando è necessario. Guai a innamorarsi delle proprie certezze, e viva i dubbi, come abbiamo già altre volte detto. E il dubbio va sciolto affrontandolo anche con il sostegno del parere esterno di altri, più o meno esperti, più o meno persone delle quali ci fidiamo. Un tempo, decisioni di questo genere si definivano frutto di un «consulto». Ecco: di fronte all’incertezza abbiamo il dovere di «consultarci», anche perché da una voce esterna magari ascolteremo una prospettiva, rispetto alla decisione da prendere, a noi finora del tutto ignota.
Pause di riflessione
Il dubbio porta anche a un rapporto equilibrato con il tempo. Ci sono decisioni che vanno prese rapidamente, questioni di attimi talvolta. E decisioni che invece hanno bisogno di alleggerirsi anche nella più classica delle pause di riflessione. In ogni caso, i momenti caldi, o quelli nei quali siamo più stanchi con la mente, sono i peggiori per scegliere e per decidere. Anche qui, ribaltiamo la posizione rispetto alla tecnologia: l’algoritmo fa tutto in tempo reale, non può prendersi il tempo necessario per maturare una decisione equilibrata. Peggio per lui.
Metodo della bussola
Ed è all’interno di una dimensione temporale che non si inchiodi al giorno per giorno che possiamo valutare una decisione, e le sue conseguenze, con quello che gli esperti chiamano il «metodo della bussola». In pratica: una volta chiarito il punto, bisogna metterlo bene a fuoco, prima della decisione finale, dando una risposta flash a cinque domande. Che cosa conta. Chi conta. Che cosa ci spinge. Che cosa ci trattiene. Da dove vengo. La combinazione delle risposte a queste cinque domande ci avvicina alla decisione corretta. O almeno dovrebbe.
Ciò che sicuramente l’algoritmo non potrà mai fornire all’interno del suo meccanismo che lo porta a stabilire una decisione, è la componente irrazionale. La più importante. Quando decidiamo qualcosa con il cuore, con l’istinto, con una forza che supera i freddi calcoli della razionalità. Sono le decisioni più belle, anche se più rischiose, e più appassionanti. Quelle che fanno la differenza nella vita e lasciano un segno.
La leva del cuore
Restiamo agli esempi della vita privata e della vita pubblica. C’è un momento nella vita di un genitore, o anche più momenti, nei quali bisogna sprigionare il massimo di autorevolezza. O il massimo di dolcezza. Sono fasi opposte, decisioni opposte, che hanno in comune una potenza fatta di sentimenti e non di calcoli. Un figlio che si droga con quali di questi due strumenti lo affrontiamo? E se volessimo provare ad alternarli, come potrebbe essere naturale, quale dovrebbe essere il criterio? Nessun algoritmo potrà fornirvi proposte decenti, mentre il vostro cuore vi porterà su una strada, speriamo giusta, con tutte le incognite insite nel meraviglioso, ma complicatissimo, mestiere di genitore.
Un uomo politico che prende decisioni solo sulla base della sua convenienza o dei sondaggi (due casi rispetto ai quali l’uso dell’algoritmo è più che sufficiente) farà anche una brillante carriera, ricoprirà importanti cariche, avrà potere, ma non lascerà un segno. E presto verrà dimenticato. Tutto il suo percorso si ridurrà, una volta riletto come il film di una vita pubblica, ai traguardi personali, effimeri, e privi della forza di contaminare gli altri e di modificare il corso degli eventi, la vera e più nobile missione della politica. Un politico con questi connotati, con questi limiti che ispirano le sue decisioni, lo riconoscete anche dallo sguardo e dall’atteggiamento. Vive la sua funzione strisciando i muri. Al contrario del politico che rischia, sfida anche l’impopolarità e prende continuamente decisioni non dettate da un algoritmo o da un sondaggio. Lui potrà anche perdere, ma certo non scomparirà nello spazio effimero di qualche attimo.
La fatica di decidere
Decidere, nel pubblico come nel privato, non è sempre facile. Anzi. Recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato come il nostro cervello, continuamente sollecitato a prendere decisioni, tende a proteggersi con la ricerca di due scorciatoie possibili. La prima: fare scelte avventate, spregiudicate, e spesso controproducenti. Non prendere il giusto tempo per ponderare la decisione corretta e utile. La seconda scorciatoia: non fare nulla, ed entrare nella tribù dei procrastinatori, quelli che non decidono proprio per non assumersi una responsabilità. Altro spreco di tempo e di materia grigia. Infine, se stressiamo il cervello costringendolo a eccessive sollecitazioni sotto forma di decisioni da prendere, c’è anche il rischio di sentirci esausti, talmente affaticati da essere incapaci di trovare un punto di mediazione rispetto al problema che abbiamo di fronte. E nella vita quasi sempre quello che conta non è il punto di partenza, ma il punto di arrivo del nostro pensiero.
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