Come salvare i cinema in Italia

Ne restano poco più di un migliaio, gli altri sono diventati supermercati, sale bingo e centri commerciali. Il modello della Francia, dove 130 milioni dei fondi PNRR sono stati destinati ai cinema

Come salvare i cinema in Italia

La strage dei cinema continua. Negli ultimi anni hanno chiuso i battenti oltre 2mila sale, delle quali un centinaio soltanto a Roma. Il periodo del Covid-19 è stato sicuramente disastroso per i cinema, ma l’Italia è l’unico paese europeo, tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, dove anche dopo la fine della pandemia, le sale hanno continuato a chiudere, gli incassi sono crollati e gli spettatori diminuiti. Un deserto. Nel 2024, i cinema italiani hanno registrato un incasso complessivo di 493,9 milioni di euro, con 69,7 milioni di biglietti venduti, con una leggera flessione rispetto all’anno precedente, ma con un valore molto distante rispetto al 2019, prima della pandemia, quando ci furono incassi per 635,4 milioni di euro.

Attualmente in Italia ci sono 579 cinema monosala (con uno schermo), 291 cinema con un numero compreso tra i 2 e i 4 schermi, 123 cinema con un numero compreso tra i 5 e i 7 schermi e, infine, 128 multiplex che possono presentare fino a 22 schermi. Sono rari gli episodi in controtendenza, come quanto avvenuto a Roma, dove Fabia Bettini e Gianluca Giannelli, con l’associazione culturale Playtown Roma hanno deciso di riaprire le storiche sale del cinema Fiamma (chiuse da dieci anni), puntando sulla formula del locale multiuso: non solo proiezioni di film, ma anche eventi, concerti, spettacoli e attività culturali. In compenso, sempre a Roma, il quartiere Parioli di Roma, circa 15mila abitanti, la zona residenziale per eccellenza, dove vive la media e alta borghesia della capitale, intellettuali compresi, non ha più un cinema in funzione. L’ultimo, il multisala Roxy, è stato chiuso dopo la seconda ondata del coronavirus e non si prevede alcuna possibilità di riapertura. Resta solo un piccolo presidio, la sala d’essai del Caravaggio, che meriterebbe un premio speciale da ricevere in tutti i vari festival del cinema che si celebrano in Italia.

sala cinema
Foto di Pixabay

La pandemia è stata soltanto l’ultimo colpo sulla schiena del sistema cinematografico. In realtà sono decenni che le sale sono state abbandonate, sia dai proprietari (o affittuari), sia dalle società di produzione e di distribuzione (che decidono l’andamento del mercato), sia dalle autorità amministrative e politiche che potrebbero, con efficacia, proteggere in qualche modo il settore. Una resa generale e incondizionata. Molti cinema rimasti in piedi sono brutti, sporchi, con un modello di attività vecchio e senza alcuna possibilità di reggere all’urto della più temibile concorrenza: quella della tv, in chiaro e in streaming. Nei nostri stili di vita il rito della visione del film in sala è diventato un reperto archeologico, roba dei secoli passati, e il consumo dei film avviene attraverso le piattaforme televisive e persino sugli smartphone. Il mercato così asseconda anche un aumento generalizzato della pigrizia e una diminuzione della voglia di socializzare, di uscire, di stare insieme agli altri. Inoltre il film via streaming, a parte la comoda visione senza ficcare il naso fuori casa, presenta altri vantaggi: è (quasi) gratis, si può programmare la visione, interromperla e poi riprenderla. E non hai un biglietto da prenotare o da acquistare su Internet.

La concorrenza delle piattaforme digitali è imbattibile, inutile nasconderlo. Anche perché è stata ormai assorbita da chi decide la vita di un film e dove va proiettato: i produttori e i distributori. E loro hanno scelto di fare fuori i cinema. Non se ne fregano nulla se un film in sala resta solo qualche giorno, anche se ha ricevuto importanti riconoscimenti in Italia e all’estero: non è più quella la loro fonte di guadagno. Anzi. A produttori e distributori, poi, in questa catena degli orrori e degli sprechi si aggiungono gli speculatori, ben protetti dalle autorità locali. I cinema si prestano a trasformazioni urbanistiche, e diventano facilmente supermercati, sale bingo, centri commerciali. Basta una firma, e tutto cambia. Ciò che era un pozzo senza fondo di perdite, si trasforma in un rubinetto di guadagni facili. Con il risultato, però, che il quartiere, o intere piccole cittadine, perdono un punto di aggregazione e di cultura, e si ritrova con l’ennesimo punto vendita di largo consumo.

Come salvare i cinema in Italia

L’architetto Renzo Piano, che vive tra l’Italia e la Francia, ha fatto qualche conto che spiega bene il motivo economico alla base della distruzione di un cinema e della sua riconversione. L’affitto di un locale per le proiezioni di un film, in grandi città da Parigi a Roma e Milano, ha un valore medio di 5mila euro al mese, che per 15 anni significano entrate per 900mila euro. Lo stesso locale, riconvertito in un supermercato, in un centro commerciale o in una sala bingo, si traduce in incassi di affitti nell’arco dei 15 anni per un totale di 10 milioni. Comprensibile che un proprietario scelga di sostituire il cinema con un supermercato. Meno comprensibile, invece, la resa degli amministratori locali che con troppa facilità approvano i cambi di destinazione, e cancellano i cinema dalla mappa del territorio urbano.

E proprio dalla Francia arrivano gli esempi di che cosa si può salvare per salvare i cinema anche in Italia. Qui il governo ha messo sul tavolo un bel gruzzolo, 130 milioni di euro all’anno (con fondi prelevati dal PNRR) destinati specificamente al salvataggio dei cinema. Il 70 per cento delle sale ha ottenuto finanziamenti importanti, che sono stati erogati attraverso gli enti locali e sotto il rigoroso controllo del Centro nazionale di cinematografia. Inoltre i colossi internazionali dello streaming (da Netflix a Amazon a Disney+) devono lasciare sul tavolo tra il 20 e il 25 per cento dei loro ricavi in Francia per finanziare i cinema e i prodotti audiovisivi. Come capirete, queste soluzioni non sono mance, e forse spiegano il motivo per il quale, nonostante la pandemia, i cinema in Francia sono aumentati e oggi superano quota cinquemila.

Ai sostegni del governo centrale si potrebbero aggiungere aiuti locali, con fondi ricavati dai budget per la Cultura e l’Urbanistica. E agli interventi finanziari andrebbe aggiunto un maggiore rigore nella concessione delle licenze edilizie che dovrebbe tradursi in uno stop, per almeno vent’anno, ai cambi di destinazione dei cinema. Infine, uno sforzo maggiore deve essere fatto dai gestori delle sale e dai distributori. I primi dovrebbero modernizzare i locali, con le formule del multiuso per aumentare le fonti di ricavi. I secondi dovrebbero mostrare più coraggio e allungare la vita dei film nella sale, prima del passaggio alle piattaforme televisive. In conclusione: i cinema italiani, come quelli francesi, si possono salvare. Basta volerlo e agire di conseguenza.

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Foto copertina di Tima Miroshnichenko via Pexels

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