Perché dobbiamo salvare la lingua italiana

Parliamo sempre peggio. Con un vocabolario ristretto, con slogan ripetuti in modo ossessivo, con metafore banali e inutili. E con una valanga di parolacce. Così si distrugge e si spreca un patrimonio della nostra identità

come salvare l'italiano
Prima dell’arrivo della tv, che ha unito gli italiani dal punto di vista linguistico, sei persone su dieci parlavano soltanto in dialetto. Non conoscevano la lingua italiana. Al momento dell’unificazione l’analfabetismo superava la soglia del 78 per cento della popolazione. Poi è arrivata l’alfabetizzazione di massa, e adesso anche per effetto del presentismo che ci soffoca, stiamo assistendo a una vera degradazione del linguaggio. Pubblico e privato.
Chi salverà l’italiano? La domanda non è né banale né provocatoria: stiamo, infatti, distruggendo la lingua nazionale a partire, da luoghi dove si insegna, o si dovrebbe insegnare. Le scuole. Al punto che sono ormai decine le università che hanno introdotto corsi di italiano, per sostenere studenti universitari di fatto analfabeti funzionali o di ritorno.

COME SALVARE L’ITALIANO

L’incredibile passo indietro è stato anche denunciato da 600 professori: “Nelle tesi di laurea, errori da terza elementare. Bisogna ripartire dai fondamentali: grammatica, ortografia, comprensione del testo”. Una distruzione, quella dell’italiano, che attraversa trasversalmente la lingua orale e quella scritta.

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IMBARBARIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA

Nella quotidianità parliamo sempre più con un vocabolario ristretto, fatto di poche parole; ripetiamo continuamente, quasi in modo ossessivo, come tanti slogan da marketing pubblicitario, le stesse parole e gli stessi concetti; abusiamo di metafore (anche molto banali e di scarso significato) e di parole anglosassoni, segno di un complesso di inferiorità anche linguistico. Abbiamo fatto diventare la parolaccia, anche la più volgare, un mezzo di comunicazione ordinaria. Frequente, abituale, quotidiano.

IMPOVERIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA

Il Censis, con la solita accuratezza delle sue analisi, ha parlato in modo esplicito di «imbarbarimento della lingua italiana», di una «continua semplificazione», di «un turpiloquio che inonda la nostra vita collettiva». La decadenza di una lingua, intesa come lessico e identità di un popolo, quindi patrimonio condiviso della collettività di un Paese, marcia, accelerando nella consuetudine al turpiloquio solipsista, parallela alla decadenza di una società. E alla sua incapacità di produrre e riprodurre classi dirigenti degne di questo nome per formazione, competenza, responsabilità e valori di riferimento. Il Censis così aggiunge l’imbagascimento (utilizzando una parola del grande Carlo Emilio Gadda) del lessico collettivo a un lungo elenco di punti di caduta della dimensione comunitaria che, ormai da anni, stiamo accumulando nel perimetro del caso Italia. E in coerenza con la terapia indicata per altri settori, pensiamo alla poliarchia come bussola della governance politica e amministrativa, ci propone una moltiplicazione dei lessici, con la relativa polisemia, per uscire dall’imbagascimento.

D’altra parte anche Giovanni Spadolini, che di lingua nazionale se ne intendeva non poco, parlava dell’Italia come di un Paese di dialetti e di idiomi, tutti identitari. Ma se riconosciamo la centralità della lingua nel «fare la nazione», non possiamo non aggiungere alla polisemia, l’obiettivo di rilanciare il valore del linguaggio comune, e dunque la sua qualità, dovunque si «fa nazione», a partire dagli snodi vitali del sistema Paese. Scuola, università, rappresentanza politica ed economica, fonti che formano e alimentano l’opinione pubblica. Gli stessi luoghi, a ben guardare, dove ha prima covato e poi è esploso, in una forma di contaminazione di massa, l’imbagascimento.

salvare italiano

PAROLE DA SALVARE

A tal proposito la casa editrice Zanichelli ha lanciato il progetto #paroledasalvare, un’iniziativa per salvaguardare vocaboli sempre meno presenti nell’uso scritto, orale e nei mezzi di informazione. L’obiettivo è evitare l’impoverimento dell’italiano promuovendo l’utilizzo di parole che alle volte vengano trascurate in favore di sinonimi più comuni e intuitivi, ma più generici e meno ricchi di sfumature espressive. Per riuscirci Zanichelli porta in diverse piazze italiane un grande vocabolario che invita i passanti a scegliere una parola di cui prendersi cura, usandola in modo opportuno. La grande installazione-vocabolario, infatti, ospita sulla quarta di copertina, un monitor touchscreen che proporrà a rotazione cinque di 3.126 lemmi a rischio. Scelta la propria parola da salvare, il passante può postarla sui propri social con annesso il suo significato. Oppure scegliere la via analogica attraverso cartoline da spedire che contengono il vocabolo da salvare.

COME SALVARE LA LINGUA ITALIANA

In generale, per salvare l’italiano, per restituire dignità e valore alla lingua come fattore di traino dell’intera identità nazionale, dovremmo iniziare dai nostri microcosmi. Scuola, lavoro, famiglia: e tornare a parlare da persone civili, rinunciando magari alla litania di inutili e volgari parolacce. Ci sarebbe subito, se lo facessimo in tanti, un effetto di contaminazione, e finiremmo così di sprecare un patrimonio che appartiene a tutto il Paese.   

UMBERTO ECO E LE REGOLE PER PARLARE BENE L’ITALIANO

Umberto Eco era un cultore della lingua italiana, e scrisse anche 40 raccomandazioni, tuttora validissime, per parlarla bene. Vediamo le più importanti.
  • Evitare le allitterazioni, i puntini sospensivi e le frasi fatte.
  • Non usare sigle commerciali e abbreviazioni.
  • Ricordarsi che la parentesi, anche quando sembra indispensabile, comunque interrompe il discorso.
  • Non abusare con l’utilizzo delle parole straniere, che tra l’altro non fanno affatto bon ton.
  • Non generalizzare mai.
  • Poche citazioni e pochissimi paragoni.
  • Le domande retoriche sono quasi sempre inutili.

PAROLACCE IN TELEVISIONE

Negli anni Duemila è stato calcolato che in tv andasse in onda una parolaccia ogni 21 minuti. La statistica è decisamente aumentata, e il turpiloquio è diventato la norma del linguaggio televisivo. Dai talk show con l’insulto facile ai cosiddetti programmi di intrattenimento dove più che il balletto funziona la parolaccia. Il fenomeno ha due cause. La prima è il cinismo, vera bussola dei modelli televisivi: il turpiloquio aumenta l’audience. Perché non sfruttarlo? La seconda causa invece è che la tv riflette la nostra povertà espressiva, e come stiamo lentamente ma inesorabilmente impoverendo la lingua italiana.

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