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COME SALVARE L’ITALIANO
L’incredibile passo indietro è stato anche denunciato da 600 professori: “Nelle tesi di laurea, errori da terza elementare. Bisogna ripartire dai fondamentali: grammatica, ortografia, comprensione del testo”. Una distruzione, quella dell’italiano, che attraversa trasversalmente la lingua orale e quella scritta.
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IMBARBARIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA
Nella quotidianità parliamo sempre più con un vocabolario ristretto, fatto di poche parole; ripetiamo continuamente, quasi in modo ossessivo, come tanti slogan da marketing pubblicitario, le stesse parole e gli stessi concetti; abusiamo di metafore (anche molto banali e di scarso significato) e di parole anglosassoni, segno di un complesso di inferiorità anche linguistico. Abbiamo fatto diventare la parolaccia, anche la più volgare, un mezzo di comunicazione ordinaria. Frequente, abituale, quotidiano.
IMPOVERIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA
Il Censis, con la solita accuratezza delle sue analisi, ha parlato in modo esplicito di «imbarbarimento della lingua italiana», di una «continua semplificazione», di «un turpiloquio che inonda la nostra vita collettiva». La decadenza di una lingua, intesa come lessico e identità di un popolo, quindi patrimonio condiviso della collettività di un Paese, marcia, accelerando nella consuetudine al turpiloquio solipsista, parallela alla decadenza di una società. E alla sua incapacità di produrre e riprodurre classi dirigenti degne di questo nome per formazione, competenza, responsabilità e valori di riferimento. Il Censis così aggiunge l’imbagascimento (utilizzando una parola del grande Carlo Emilio Gadda) del lessico collettivo a un lungo elenco di punti di caduta della dimensione comunitaria che, ormai da anni, stiamo accumulando nel perimetro del caso Italia. E in coerenza con la terapia indicata per altri settori, pensiamo alla poliarchia come bussola della governance politica e amministrativa, ci propone una moltiplicazione dei lessici, con la relativa polisemia, per uscire dall’imbagascimento.
D’altra parte anche Giovanni Spadolini, che di lingua nazionale se ne intendeva non poco, parlava dell’Italia come di un Paese di dialetti e di idiomi, tutti identitari. Ma se riconosciamo la centralità della lingua nel «fare la nazione», non possiamo non aggiungere alla polisemia, l’obiettivo di rilanciare il valore del linguaggio comune, e dunque la sua qualità, dovunque si «fa nazione», a partire dagli snodi vitali del sistema Paese. Scuola, università, rappresentanza politica ed economica, fonti che formano e alimentano l’opinione pubblica. Gli stessi luoghi, a ben guardare, dove ha prima covato e poi è esploso, in una forma di contaminazione di massa, l’imbagascimento.
PAROLE DA SALVARE
A tal proposito la casa editrice Zanichelli ha lanciato il progetto #paroledasalvare, un’iniziativa per salvaguardare vocaboli sempre meno presenti nell’uso scritto, orale e nei mezzi di informazione. L’obiettivo è evitare l’impoverimento dell’italiano promuovendo l’utilizzo di parole che alle volte vengano trascurate in favore di sinonimi più comuni e intuitivi, ma più generici e meno ricchi di sfumature espressive. Per riuscirci Zanichelli porta in diverse piazze italiane un grande vocabolario che invita i passanti a scegliere una parola di cui prendersi cura, usandola in modo opportuno. La grande installazione-vocabolario, infatti, ospita sulla quarta di copertina, un monitor touchscreen che proporrà a rotazione cinque di 3.126 lemmi a rischio. Scelta la propria parola da salvare, il passante può postarla sui propri social con annesso il suo significato. Oppure scegliere la via analogica attraverso cartoline da spedire che contengono il vocabolo da salvare.
COME SALVARE LA LINGUA ITALIANA
In generale, per salvare l’italiano, per restituire dignità e valore alla lingua come fattore di traino dell’intera identità nazionale, dovremmo iniziare dai nostri microcosmi. Scuola, lavoro, famiglia: e tornare a parlare da persone civili, rinunciando magari alla litania di inutili e volgari parolacce. Ci sarebbe subito, se lo facessimo in tanti, un effetto di contaminazione, e finiremmo così di sprecare un patrimonio che appartiene a tutto il Paese.
UMBERTO ECO E LE REGOLE PER PARLARE BENE L’ITALIANO
- Evitare le allitterazioni, i puntini sospensivi e le frasi fatte.
- Non usare sigle commerciali e abbreviazioni.
- Ricordarsi che la parentesi, anche quando sembra indispensabile, comunque interrompe il discorso.
- Non abusare con l’utilizzo delle parole straniere, che tra l’altro non fanno affatto bon ton.
- Non generalizzare mai.
- Poche citazioni e pochissimi paragoni.
- Le domande retoriche sono quasi sempre inutili.
PAROLACCE IN TELEVISIONE
LE SCUOLE CHE CI PIACCIONO:
- A Piacenza c’è una scuola che scherma i cellulari dei ragazzi per incentivarli a “tornare a parlare tra loro”
- La scuola elementare di Nogara (Verona) dove i bambini creano lampade e lumi recuperando i rifiuti (foto)
- Il silenzio insegnato a scuola con il metodo Montessori. Per scoprire il piacere di riposare, ma innanzitutto per imparare a riflettere
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