Spese militari: dove nasce il nuovo boom

Non solo per la guerra in Ucraina. C’è un conflitto tra potenze a colpi di armi acquistate. L’Italia è al record storico, e vendiamo armi innanzitutto in Medio Oriente.

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BOOM SPESE MILITARI

Le spese per le armi non sono state mai così alte, in tutto il mondo. E questo non solo per la guerra in Ucraina, il paese diventato il più grande importatore di armi in Europa e il quarto al mondo. Secondo i dati pubblicati dall’istituto Sipri (lo Stockholm International Peace Research Institute), nel 2022 la spesa per le armi in Europa è arrivata a 345 miliardi di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente del 13 per cento, e nel mondo ha toccato la cifra di 2.240 miliardi di dollari, record storico. Da chi e da che cosa pensiamo di difenderci con questi acquisti boom? Da quasi trent’anni, ovvero dalla caduta del Muro di Berlino, nel continente europeo non si registrava un aumento delle spese militari così significativo. Ma allora avevamo la Guerra Fredda e il mondo diviso in blocchi. Più comprensibile, ma decisamente più preoccupante l’aumento delle spese militari nel perimetro di tre potenze: Stati Uniti, Cina e Russia il 56 per cento degli investimenti militari.

L’AMERICA E LA CORSA ALLE ARMI

Gli Stati Uniti, da sempre considerati guerrafondai, hanno aumentato la spesa per le armi nel 2022 soltanto dello 0,7 per cento; la Cina del 4,2 per cento (che significa un aumento del 63 per cento nell’ultimo decennio); la Russia del 640 per cento, ovviamente per effetto dell’invasione dell’Ucraina. Questi numeri ci dicono solo una cosa: attorno alla corsa agli armamenti si sta consumando un conflitto tra potenze che mette a rischio la sicurezza nel mondo. Piuttosto, l’America, dove l’industria degli armamenti è anche una lobby molto potente e coccolata da entrambi i partiti, democratici e repubblicani, ha aumentato le sue esportazioni del 17 per cento. Il 55 per cento delle armi importate dai paesi europei della Nato arrivano dalle fabbriche degli Stati Uniti. All’industria delle armi made in Usa, la guerra in Ucraina e l’aumento della dotazione militare dell’Alleanza atlantica, sebbene non ci sia la terza guerra mondiale all’orizzonte, sono cose che non dispiacciono affatto.

SPESA PER LE ARMI IN ITALIA

E veniamo all’Italia. In occasione dell’approvazione della legge di Bilancio del 2023, il Parlamento italiano ha deciso di portare al 2 per cento del Pil la spesa militare in Italia. Vale a dire circa 38 miliardi di euro all’anno, quasi il doppio dei 21,4 miliardi di euro che abbiamo speso nel 2019, prima della pandemia.  Una scelta da operetta all’italiana, fatta all’insegna dell’<Armiamoci e partite>, in quanto queste armi che andiamo a comprare non servono a nulla. E fortunatamente la guerra, per noi, è vietata dalla Costituzione.

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A CHI VENDE LE ARMI IN ITALIA

Secondo l’analisi del Sipri, tra il 2019 e il 2023 l’Italia ha aumentato dell’86 per cento le esportazioni armi, più di qualsiasi nazione del mondo.  Anche la Francia ha aumentato in modo considerevole le sue esportazioni di armi (+ 47 per cento), scavalcando la Russia nella classifica mondiale.  Il dato più singolare, e preoccupante, riguarda la destinazione delle armi prodotte in Italia: il 71 pere cento vanni in Medio Oriente, e in particolare in Qatar, Egitto e Kuwait.  Paesi che non brillano per la loro democrazia, e nulla sappiamo di preciso, se non le notizie di cronaca, sull’uso che viene fatto in queste nazioni delle armi  vendute dall’Italia.

COSA PREVEDE IL BUDGET DELLE SPESE MILITARI

Nel budget delle spese militari 2023, che segna il record storico per l’Italia, a proposito di sprechi, è stata più volte sottolineata una totale inefficienza. Corriamo ad acquistare armi, ma intanto abbiamo un esercito sovradimensionato, con 162.000 unità che dovrebbero scendere, secondo una legge del 2012, a 90.000 militari e 6.300 civili entro il 2024. Ma poiché le leggi in Italia sono scritte sulla sabbia, è chiaro che la guerra in Ucraina, e l’aumento del budget della Difesa, sarà una buona occasione per la lobby della Difesa per congelare la diminuzione degli organici. Abbiamo generali strapagati e una percentuale della spesa appena attorno al 4 per cento è destinata all’addestramento degli uomini. Compriamo armi che non sapremo usare.

DIFESA COMUNE EUROPEA

Mentre non si capisce bene a che cosa servano davvero tutte queste armi che continuiamo a comprare, due cose sono sicure.  La guerra in Ucraina avrebbe dovuto essere l’occasione, e la stiamo sprecando, per consentire al progetto della Difesa comune europea di fare un salto in avanti. Importante. A partire dai soldi, che bisognava spendere non con un tot a paese, ma distribuendo le singole voci, proprio per evitare sprechi e sovrapposizioni. E invece ognuno è andato avanti per la sua strada, anche il premier Mario Draghi ha fatto notare questa incongruenza, finanziando così la propria industria bellica nazionale, e rinviando alle calende greche i progetti della Difesa comune europea. La seconda certezza è che i nostri militari sono ottime persone, che spesso rischiano la vita e meritano il massimo rispetto. Ma non c’è bisogno di essere pacifisti per prendere atto che noi nelle guerre possiamo avere un solo ruolo: quello di autorevoli e credibili mediatori. Non siamo un paese attrezzato, anche nella psicologia nazionale, per fare veri combattimenti. E non siamo un popolo guerrafondaio, o abituato a vivere armato, come nel caso degli americani. Queste cose le dice la storia, e ne dovremmo tenere conto.

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AIUTI MILITARI ALL’UCRAINA

La tragica aggressione di Putin ha dimostrato che cosa può fare l’Europa mettendo insieme i suoi apparati di Difesa (armi comprese). Senza i soldi e le armi degli americani e degli europei, con i quali l’esercito ucraino è stato attrezzato e organizzato, la guerra lampo di Putin sarebbe stata una passeggiata e nessuno avrebbe potuto parlare dell’eroica resistenza ucraina. L’impegno comune europeo, rapido ed efficace, ha anche silenziato i pacifisti a buon mercato, e l’opinione pubblica ha condiviso, nella stragrande maggioranza, una decisione che, presa dai singoli stati, sarebbe stata impossibile o comunque molto controversa. Persino la voce di un autentico pacifista come Papa Francesco si è fatta sentire per riconoscere all’Ucraina il “diritto a difendersi”. Questi soldi sono spesi bene e non sprecati, non quelli per il nostro riamo nazionalista.

PIÚ SOLDI PER LE ARMI

L’idea di mettere più soldi sul tavolo per acquistare armi, a questo punto non può ricondurci ai principali beneficiari di questo spreco: l’intera filiera dell’industria delle armi. Aziende, commercianti e mediatori. Gente che fa il proprio lavoro, ma con una capacità di lobbying altissima, come si vede anche con le decisioni prese a proposito dell’aumento della spesa militare.  Siamo grandi produttori e venditori di armi, e il nostro export, soltanto in un anno, è aumentato dell’85 per cento. Immaginiamo a quali livelli arriverà dopo la guerra in Ucraina. Aumentiamo la spesa militare in modo insensato, sottraendo risorse ad altri capitoli, compreso l’Ambiente; sprechiamo i soldi del budget della Difesa con spese mal distribuite; rafforziamo il nostro ruolo di produttori ed esportatori di armi. Però scendiamo in piazza a chiedere, nella nebbia dell’ipocrisia, la pace per tutti.

DIFESA COMUNE EUROPEA OSTACOLI

Di Difesa comune europea si parla dal lontanissimo 1956: già i padri fondatori avevano capito bene che senza mettere insieme le politiche di Difesa e Sicurezza, con un relativo esercito comune e con armi in comune, l’intera architettura dell’Unione sarebbe stata sempre molto fragile. Ma arrivare alla Difesa comune europea, cioè al cuore di una vera integrazione, significava ieri, e ancora oggi, superare alcuni ostacoli decisivi. Il primo: convincere i governi, a partire da Francia e Germania, a cedere sovranità, in un settore dove tutti, politici e militari, sono molto gelosi del proprio potere. Una scelta, una volta fatta, destinata a essere irreversibile. E certo non si può pensare a un’Europa unita della Difesa che per prendere una decisione deve chiedere il permesso a 27 stati: il meccanismo dell’unanimità, almeno in questo campo, va superato. Secondo ostacolo: mentre dal 1956 l’Europa si è continuamente allargata, oggi per avere una Difesa comune significa mettere insieme 27 forze armate, con armamenti in alcuni casi incompatibili. Siamo in presenza di una babele militare, come risulta evidente dal numero fuori misura, e indice di enormi sprechi, dei sistemi d’arma, ovvero delle piattaforme per gestire missili, carrarmati, siluri, elicotteri. In America sono 30, in Europa sono 178; negli Stati Uniti esiste un unico sistema per i carrarmati, in Europa se ne contano ben 17.

PRODUTTORI DI ARMI IN EUROPA

Ma l’ostacolo più pesante che frena scelte chiari e forti a favore della Difesa Comune Europea è rappresentato dalla potentissima lobby europea, ciascuna in ciascun paese, dei produttori di armi e munizioni. Stiamo parlando di migliaia di aziende, alcune da sistema Paese e con fatturati da imprese top nel mondo. In Germania si contano 221 produttori di armi, in Italia 157, in Francia 122: ognuno di loro ha un interesse evidente a conservare lo status quo. Mettere insieme l’esercito e le armi, infatti, significherebbe risparmiare e razionalizzare la spesa militare in Europa. Cosa inaccettabile per i produttori, ben spalleggiati a livello politico. Così, contrariamente a quanto si immagina, attualmente la spesa militare in Europa è altissima, e fonte di enormi sprechi: siamo a 233 miliardi di dollari all’anno, quasi quattro volte i 62 miliardi di dollari spesi dalla Russia. L’unica certezza, di fronte a tante incognite, è ancora l’assioma del 1956: senza mettere insieme le politiche di Difesa e gli eserciti, non potremo mai parlare di qualsiasi di simile agli Stati Uniti d’Europa.

CHI HA PIÙ ARMI NUCLEARI TRA AMERICA E RUSSIA

Anche il riarmo nucleare ha radici lontane e non riconducibili in modo diretto con la guerra in Ucraina. La partenza della nuova fase di crescita della spesa per testate atomiche risale al 2021 e in America è stata condivisa sia da presidenti democratici sia da quelli repubblicani. Al momento, secondo le stime dell’Ican, l’Istituto che guida la campagna internazionale contro le armi atomiche, la Russia possiede più testate atomiche degli Stati Uniti: 6.370 rispetto a 5.800. Di queste alcune sono piazzate in cinque paesi europeitra i quali l’Italia, e precisamente nelle due basi Nato di Aviano e di Ghedi.

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