Consumo, risparmio, guadagno: largo all’energy manager

L’attenzione agli sprechi è il primo accorgimento utile da adottare in tempi di crisi. Il bene che viene a mancare, come il cibo o il denaro per esempio, ha anche una sua “veste” economica, che dipende proprio dalla sua scarsità: se da una parte, infatti, evitare ulteriori dispersioni diventa necessario per la sopravvivenza di un […]

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L’attenzione agli sprechi è il primo accorgimento utile da adottare in tempi di crisi. Il bene che viene a mancare, come il cibo o il denaro per esempio, ha anche una sua “veste” economica, che dipende proprio dalla sua scarsità: se da una parte, infatti, evitare ulteriori dispersioni diventa necessario per la sopravvivenza di un sistema, qualsiasi esso sia, dall’altra c’è anche una componente economica legata proprio al ritorno di un risparmio. Succede la stessa cosa anche sul piano energetico, dove l’attenzione a preservare una fonte di energia si unisce al risparmio economico da essa derivato. L’efficienza energetica, infatti, è la capacità di sfruttare al meglio l’energia di cui si dispone, un lavoro che riesce a fare molto bene una figura professionale di cui oggi spesso si sente parlare: l’energy manager. Nato proprio in concomitanza con la crisi petrolifera del 1973, l’energy manager svolge oggi un ruolo strategico all’interno di un’azienda. Realizzando il contenimento dei consumi, l’energy manager evita al contempo le dispersioni di energia e quelle di denaro: un’opportunità di cui finalmente si capito la convenienza. Per il mondo aziendale, infatti, avere la possibilità di disporre di un energy manager sta iniziando a diventare una necessità. Ma perché ancora, nonostante questa presa di coscienza, questa professione non riesce a decollare come dovrebbe?
Ne abbiamo parlato con Dario Di Santo, Direttore della Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia (FIRE), l’associazione che in Italia promuove l’uso efficiente dell’energia e che, su incarico del Ministero dello Sviluppo Economico, gestisce dal 1992 la rete degli energy manager individuati ai sensi della Legge 10 del 1991, il riferimento normativo che in Italia ha consacrato questa figura professionale.

Dott. Di Santo, da quanto tempo e perché è nata la figura dell’energy manager?

L’energy manager esiste da quando esiste un’attenzione delle aziende ai consumi energetici. Concettualmente questa figura è diventata rilevante in tempi moderni, dopo la crisi petrolifera degli anni 70, con alti e bassi in funzione dei prezzi del petrolio, che indirettamente determinavano i costi dell’energia per le aziende. In Italia, ci fu una prima legge d’obbligo negli anni 80 che non riscosse un grandissimo successo non tanto per la risposta delle aziende, quanto per una mancanza di gestione da parte degli organi tecnici preposti e quindi si arenò dopo 2, 3 anni. Poi arrivò la Legge 10 del 1991 che, recependo l’importanza di una figura di questo tipo, la rese obbligatoria per i grandi consumatori sia nel settore industriale che in quello civile. Si trattava di un obbligo di legge che aveva senso in un periodo, come quello degli anni 90, in cui il prezzo del petrolio andò a finire ai minimi storici e quindi era possibile per le aziende mantenere alta l’attenzione alle problematiche energetiche.

 

Qual è il valore aggiunto che questa figura porta all’interno di un’azienda?

L’energy manager riesce a supportare il management direzionale e amministrativo nel ricordare che c’è un’opportunità legata al contenimento dei consumi energetici, un’opportunità che si traduce sia in competitività sia, in tempi di crisi, nella possibilità di non ricorrere a licenziamenti o a soluzioni di questo genere. Significa avere una figura che sa cosa andare a vedere e come riuscire a ottenere migliori risultati al minor costo. In sua assenza, è difficile che l’energia, che di norma non fa parte del core business aziendale salvo casi molto particolari, sia considerata all’interno dell’azienda. Il problema è che non basta semplicemente nominare un energy manager, ma bisogna anche fare in modo che sia in grado di operare bene: siccome l’energia è un tema trasversale e tocca tutte le funzioni aziendali, affinché l’operato dell’energy manager sia efficace è necessario che ci sia un mandato chiaro da parte della direzione e un dialogo aperto con i colleghi delle altre funzioni aziendali per promuovere un certo tipo di azioni. Ciò ovviamente presuppone anche che ci sia una politica aziendale rivolta all’efficienza energetica.

Il fatto che ancora l’energy manager non sia una figura largamente diffusa dipende dai costi che un’azienda si trova a sostenere per mantenerla?

È sicuramente vero che ci sono dei costi che poi vengono ripagati. Va tenuto presente che un energy manager non è un tecnico esperto di qualsiasi tematica legata all’efficienze energetica, ma un top manager che ha il compito di promuovere l’efficienza, preferibilmente con competenze tecniche. Questa figura difficilmente sarà dedicata esclusivamente all’energia, ma avrà anche altri incarichi e si avvarrà di consulenti e tecnici esterni per portare avanti le sue azioni. È chiaro che l’azienda sostiene un costo che poi l’esperienza dimostra che si ripaga ampiamente con le azioni intraprese in materia di efficientamento energetico. Il fatto che ancora ci siano pochi energy manager non è legato, a mio avviso, tanto ai costi che un’azienda si trova a sostenere, quanto a una mancanza di sensibilità e di attenzione al problema, tendenza che negli ultimi 2-3 anni ha iniziato a cambiare radicalmente. Le aziende hanno, infatti, iniziato a fare attenzione a questi problemi, nominando i propri energy manager oppure, chi già ce li aveva, mettendoli nelle condizioni di operare. Quello che è avvenuto è che si sono mosse prima le aziende più grandi e poi, via via, si stanno muovendo anche le aziende di dimensioni più piccole. È ovvio che, nel momento in cui un imprenditore si rende conto che c’è un’opportunità, ha tutto l’interesse a muoversi per coglierla.

A suo avviso, ci sono altre criticità che ancora dovrebbero essere superate?

A parte la scarsa informazione, c’è anche un problema formativo perché è chiaro che, a mano a mano che più soggetti si rendono conto del valore di questa opportunità e cercano di coglierla, c’è anche bisogno di più persone preparate che lavorino in questo settore. Ma una volta chiarite queste cose e sfruttati gli strumenti che oggi esistono, come i sistemi di gestione dell’energia e gli incentivi disponibili….
Il contesto, insomma, è piuttosto favorevole. C’è poi un’altra criticità generale, che non riguarda solo l’energy manager, ma in generale l’efficienza energetica, ed è la sua complessità, dovuta non solo ai vari modi di utilizzare l’energia, ma anche alle tante e diverse soluzioni applicative, che rendono lento lo sviluppo di una filiera adeguata.

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