Facciamo come in Cina. Dobbiamo fare come in Cina. Da più parti si ripetono questi appelli come se il metodo cinese per rallentare e bloccare la diffusione del Covid-19 fosse facile da replicare in paesi come l’Italia, e in generale nel mondo occidentale. Dove le condizioni sociali e politiche sono molto diverse.
Guardandolo da vicino, infatti, il metodo cinese si poggia su un mix di elementi unici, alcuni dei quali sono impossibili da replicare. Altri invece vanno presi proprio come esempio.
COME LA CINA HA SCONFITTO IL CORONAVIRUS
Partiamo dall’inizio, e scopriamo che questa narrazione del virtuoso modello cinese al quale dovremmo ispirarci inizia con una Grande Bugia. Dei cinesi, a spese nostre, innanzitutto dell’Italia, non a caso la seconda nazione al mondo colpita dal virus.
I primi casi di polmonite acuta, una strana polmonite con aspetti finora sconosciuti, si sono verificati a Wuhan agli inizi del mese di dicembre del 2019. Stiamo parlando di una megalopoli, con oltre 11 milioni di abitanti, e dunque la scelta delle autorità politiche e sanitarie (non sapremo mai se soltanto locali o anche nazionali) di ridimensionare il fenomeno, fino a sottovalutarlo, è stata semplicemente folle. Da quel momento è stato un continuo correre ai ripari, con una partenza sbagliata.
Il giorno della svolta è il 23 gennaio, quindi stiamo parlando di circa 50 giorni dopo l’inizio dell’epidemia. A quel punto il coronavirus finisce nelle mani esclusive del governo centrale e arrivano le scelte draconiane. Immediate.
L’intera provincia dello Hubei, la cui città più importante è Wuhan, è stata completamente chiusa. Una quarantena totale che ha impedito, senza se e senza ma, a circa sessanta milioni di persone di uscire di casa: anche la spesa alimentare si è fatta solo online, con un sistema di consegne, gestito dalle autorità di quartiere, ai cancelli dei vari comprensori residenziali. I contatti tra i cittadini dal 23 gennaio sono stati del tutto azzerati. E nella zona del “tutto chiuso” nessuno si è sognato di fare obiezioni.
(Photo credit: Robert Wei/Shutterstock.com)
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IL METODO CINESE PER SCONFIGGERE IL CORONAVIRUS
A questo punto sono scattati tre elementi vincenti del metodo cinese. L’autoritarismo e il pugno di ferro di una dittatura. La potenza tecnologica di un Paese dove già da tempo tutti i i cittadini sono schedati e sotto attenti controlli. Il senso di responsabilità dei cinesi.
L’immediata chiusura di un’intera provincia, equivalente per numero di abitanti a tutta l’Italia, non è avvenuta, come nel nostro caso, con gradualità, e sulla base di continue discussioni. Tutto è stato fatto molto rapidamente. E una volta deciso, il provvedimento è diventato un ordine, parola molto chiara nella mentalità ubbidiente e disciplinata del popolo cinese. Chi sgarra ha una multa salatissima, oppure va in carcere. Stessa cosa per eventuali scienziati e medici dissidenti rispetto alla linea delle autorità del partito: vanno in carcere. L’indisciplina, a qualsiasi livello, non diventa oggetto di generiche indignazioni da parte dei ministri competenti oppure di qualche servizio televisivo, come nel caso degli italiani che hanno continuato fare la loro movida in piena emergenza e nelle zone rosse. La differenza è sostanziale.
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GESTIONE AUTORITARIA DELL’EPIDEMIA DI CORONAVIRUS
L’autoritarismo, di fronte a un’emergenza sanitaria così imprevista, in Cina è sempre facile da applicare, in quanto fa parte del meccanismo di governo del paese, al centro come in periferia. Così solo a Wuhan 1.800 squadre, composte ciascuna da 16 persone, hanno battuto la città palmo su palmo per individuare, una per una, tutte le persone che avevano avuto contatti con gli infettati. E a loro, e non indiscriminatamente a tutti (vedi il caso dei tamponi in Italia), sono state fatte le varie analisi di approfondimento per raccogliere una quantità davvero spaventosa di dati. Preziosi per capire meglio origini e caratteristiche del coronavirus, individuare farmaci efficaci e fare passi avanti sulla strada del vaccino.
Agli ordini di stampo militare si abbina la potenza tecnologica ed economica, applicate, in questo caso, all’organizzazione sanitaria. Abbiamo visto tutti, e siamo rimasti senza parole, costruire due maxi-ospedali a Wuhan nel giro di una settimana. I cronisti sul luogo hanno raccontato di una riorganizzazione di blocchi del sistema sanitario in pochi giorni: interi reparti chiusi e dedicati esclusivamente ai possibili contagiati. Circa la metà dei consulti per accertare il contagio sono avvenuti via Internet per non intasare ospedali e pronto soccorso, con investimenti miliardari in apparecchiature, senza perdere un attimo in procedure e ricerche di fondi. Ma nessuno di noi ha la minima idea di che cosa sia stata, e continuerà ad essere, la stretta sorveglianza elettronica dei cinesi. Un solo esempio: AliPay e WeChat sono due app che negli ultimi anni hanno consentito, di fatto, di eliminare il contante in molte zone della Cina. Il governo le ha utilizzate per seguire i movimenti delle singole persone e per bloccare chi aveva contratto il virus o chi poteva essere considerato un soggetto a rischio.
Tutto con un sistema a semaforo. Un codice basato sui tradizionali tre colori del semaforo (verde, giallo e rosso), consentiva agli agenti dislocati nelle stazioni ferroviarie e in qualsiasi altro posto di controllo di individuare chi andava fermato. Nella storia dell’umanità non si è mai vista una forma di controllo dall’alto di ogni singolo gesto delle persone e su una scala di proporzioni così vaste.
(Photo credit: B.Zhou/Shutterstock.com)
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SENSO DEL DOVERE DEI CITTADINI CINESI PER SCONFIGGERE IL CORONAVIRUS
Il terzo fattore vincente del metodo cinese riguarda loro, i cittadini. E lo straordinario senso del dovere che dimostrano in ogni circostanza. Alla fine di febbraio una commissione di esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità si è recata in Cina, specie nella provincia dell’Hubei, per capire e valutare metodi e risultati del piano anti-virus. Nel rapporto pubblicato il 28 febbraio questi scienziati occidentali, nel sottolineare che diverse misure prese dal governo cinese ignorano le libertà civili e sono inapplicabili nelle democrazie occidentali, hanno riconosciuto una cosa fondamentale: “Dovunque abbiamo riscontrato un enorme senso di responsabilità dei cittadini, tutti sono davvero impegnati, al massimo delle forze, nella lotta contro il virus”.
Forte di queste tre carte da mettere sul tavolo (autoritarismo, tecnologia e responsabilità dei cittadini), il governo cinese è stato capace di ribaltare completamente l’effetto politico del coronavirus. E laddove agli inizi ha rischiato di scivolare nella palude di una crescente impopolarità (con diversi focolai di protesta nel Paese contro l’incompetenza delle autorità venuta fuori nei primi giorni), in poche settimane il gradimento di Xi Jinping e del governo sono saliti alle stelle. Grazie a una micidiale macchina della propaganda, che in Cina è abbinata a qualsiasi decisione politica di rilievo.
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XI JINPING E IL CORONAVIRUS
Xi Jinping è già celebrato come un eroe. Tutte le colpe degli errori iniziali, gravissimi, sono state scaricate sulle autorità politiche di Wuhan: sono cadute teste e qualcuno è finito anche in carcere. Un libro, dall’enfatico titolo 2020. La Cina sconfigge il coronavirus, è il bestseller del momento. E nelle sue pagine Xi Jinping viene descritto come “un compagno dal cuore puro come un bambino, che si è preso cura del suo popolo”. E anche questo panegirico fa parte del metodo cinese per sconfiggere il coronavirus.
(Photo credit: Gil Corzo/Shutterstock.com)
Immagine di copertina: IHOR SULYATYTSKYY/Shutterstock.com
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