Gradualità. Abbiamo capito quale sarà la bussola che accompagnerà gli italiani fuori dall’emergenza coronavirus e dall’isolamento, con un ritorno a tappe verso la normalità. Ma chi stabilisce le dosi di questa progressione? A chi tocca impostare, per esempio, un calendario regione per regione? E le priorità di ciascun gruppo di popolazione e di ciascuna categoria? Non è pensabile che queste risposte, e l’elenco è molto più lungo, arrivino dal comitato-tecnico scientifico che detta l’agenda da quando è esploso il contagio. Virologi e professori di Malattie infettive hanno un ruolo essenziale, ma continuando di questo passo sarà Roberto Burioni a decidere quando e come potremo tornare da un parrucchiere e se i bambini che hanno diritto a prendere una boccata d’aria devono continuare a trovare parchi e giardini sbarrati al pubblico.
CORONAVIRUS QUANDO FINIRÀ ISOLAMENTO
L’evidente equivoco nel quale ci siamo infilati è che la politica, quando c’è un’emergenza, lascia la regia agli esperti, ben contenta di non assumersi una responsabilità e di non rispondere per eventuali errori. Da qui incertezze, ritardi, scelte sbagliate. Sprechi. E un Paese sostanzialmente sospeso, in una pioggia quotidiana di annunci di centinaia di miliardi in arrivo per famiglie, imprese e professionisti (ma quando?) e di bollettini sanitari in costante aggiornamento ma sempre con la premessa, anche se i numeri sono buoni, di stare fermi fino a ordine contrario. Un’abdicazione che fa molto comodo, ma si giustifica soltanto con la povertà e la fragilità della classe dirigente che oggi esprimiamo.
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DECISIONI CORONAVIRUS POLITICA
I tecnici sono fondamentali per governare bene. Lo scriveva già Platone nei suoi testi, a partire da La Repubblica, e guai a non essere circondati da persone competenti e innanzitutto indipendenti. Piuttosto gli esperti, la cui scelta spetta ai politici, non vanno selezionati con criteri di appartenenza e di fedeltà, ma semmai mescolando gli orientamenti, e vanno ascoltati sempre. Non solo in emergenza, quando c’è il coronavirus o una crisi finanziaria.
Chiarito il ruolo, esiste poi un momento nel quale la politica fa un passo avanti e gli esperti arretrano. Ed è il momento delle decisioni. Un leader politico, a qualsiasi livello, può essere il capo del governo come un sindaco o un presidente di circoscrizione, se fa bene il suo mestiere, si trova spesso a scegliere in solitudine. L’importante è che abbia prima ascoltato, anche con umiltà. Se Winston Churchill avesse ubbidito ai suoi tecnici (i vertici militari con i quali si consultava tutti i giorni), l’Inghilterra non avrebbe resistito fino all’ultimo all’avanzata dei nazisti, e chissà quale piega avrebbe preso la seconda guerra mondiale. Se Helmut Khol avesse dato retta al coro dei suoi esperti (i comunicatori che sondano gli umori dell’opinione pubblica), l’unificazione tedesca non si sarebbe fatta e chissà se avremmo avuto un’Unione europea che, con tutte le sue fragilità, comunque esiste.
GLI ERRORI DEGLI ESPERTI
Gli esperti, che un tempo si chiamavano con il nome giusto, consulenti, chiamati a dare pareri ma non a prendere decisioni, non sono infallibili. E non esprimono quasi mai opinioni unanimi. La loro attività è sempre al confine tra le certezze della scienza e le aspettative, dunque le ipotesi, della ricerca. Il risultato è che il 70 per cento delle ricerche scientifiche fallisce i test di riproducibilità (fonte: la rivista Nature). Che cosa dovrebbe fare la politica? Prendere una decisione in attesa che le ricerche entrino nel perimetro di quel 30 per cento che supera i test?
Quanto alle divisioni, a volte gli scienziati sono peggio dei politici. Facciamo un solo esempio, molto importante per le nostre nuove abitudini quotidiane: l’uso delle mascherine. L’Organizzazione mondiale della Sanità, il sinedrio tecnico-scientifico con i maggiori esperti del pianeta, ha ben circoscritto l’uso delle mascherine, previsto in casi molto specifici. E finora questa è stata la linea adottata ovunque. Da quando è esplosa la pandemia, alcuni esperti, ai massimi livelli degli organi di consulenza del governo, come l’Istituto nazionale della Sanità, sostengono che invece le mascherine vanno usate sempre e comunque. A chi deve dare ascolto la politica? Può concedersi il lusso di restare impalata fino a quando Oms e Iss dicano la stessa cosa sulle mascherine? Impensabile: la politica, e chi ne rappresenta la funzione sul campo, deve decidere. E lo fa anche andando contro l’opinione dei noti, autorevoli esperti. Questo è il suo mestiere.
DECISIONI CORONAVIRUS ESPERTI
Le scelte da fare in materia di coronavirus sono tutte politiche. E sono molto pesanti, forse per questo qualcuno pensa di aggrapparsi al pantalone o alla gonna dell’esperto. Trovare un equilibrio tra gli interessi degli imprenditori, e in generale dell’economia, che chiedono una ripresa delle attività (alcune non son mai cessate…) a valanga e senza troppa gradualità e la sicurezza dei lavoratori che comunque va garantita (e i modi ci sono), è una scelta politica. Come dovrebbe essere la politica, e non un tecnico di Bruxelles o della Bocconi, a decidere se, come e quando, fare davvero azioni di redistribuzione del reddito.
Quando sarà passata l’onda emotiva delle donazioni, resterà sul tavolo un tema, che tutti, perfino banchieri e imprenditori, dicono di avere ben presente, ma nessuno si decide a mettere in agenda: come dare più soldi alla stragrande maggioranza di una popolazione fatta di ceto medio in via di impoverimento. E come sottrarre una parte di questo denaro a quelle minoranze che, anche dall’inizio della Grande Crisi, lo hanno accumulato. Un conto che non si può presentare a Bruxelles, ma il cui saldo e gli strumenti per realizzarlo, a partire dalla leva fiscale, va deciso a Roma. Dalla politica, e con il preciso obiettivo di redistribuire reddito e mettere soldi, non chiacchiere e cifre, nelle tasche degli italiani che continuano a stringere la cinghia.
TASK FORCE CORONAVIRUS
A questo discorso si aggiunge la proliferazione di Task force. Team. Squadra di esperti. Gruppo di lavoro. Il nanismo della politica, e la inadeguatezza della classe dirigente che la interpreta, sono venuti fuori in modo evidente con il moltiplicarsi, durante l’emergenza del coronavirus, di comitati di esperti a supporto dei vari ministeri e della presidenza del consiglio, per poi scendere, scalino dopo scalino, ai vari livelli delle amministrazioni locali. Regioni, comuni e province. Tutti in ordine sparso, ovviamente.
Il risultato è una Babele di nomi, di contratti, di esperti, con un enorme spreco organizzativo e con il rischio quotidiano di una sovrapposizione di funzioni e di decisioni. Attorno al governo si è creata una rete di 450 esperti, distribuiti in 15 task force. Centinaia di organismi simili vengono replicati dalle regioni, specie quelle più conflittuali con il governo. E soltanto al ministero dell’Istruzione, per fare un esempio, esiste con comitato di esperti per la chiusura delle scuole e uno per la riapertura. La conclusione è che di tante tecno-strutture ne manca una sola: una task force che coordini le task force.
BUROCRAZIA DECISIONI COVID 19
Anche il tema dei freni della burocrazia, altro fantastico alibi a portata di mano di un ceto politico modesto anche per autorevolezza, va messo a fuoco nella giusta dimensione. Con massicce campagne di comunicazione, e con la complicità di mass media che non fanno il loro mestiere ma partecipano complici al balletto delle chiacchiere, dopo una valanga di annunci e di promesse, scopriamo che nel 2019 la surroga dei mutui è stata negata a una famiglia su tre. Problemi burocratici. Ciò significa che una delle misure più importanti per risparmiare e consentire alla famiglie di recuperare potere di acquisto, così sbandierata per mesi e mesi, nei fatti è evaporata. Quasi azzerata.
La massa di liquidità, teorica, messa a disposizione di imprese, professionisti e singoli nuclei familiari, è bloccata da una quantità di procedure che non sono state né semplificate né accelerate. In Svizzera, ma la stessa cosa avviene in Germania e in Francia, l’aiuto economico per il coronavirus funziona così: l’imprenditore presenta un modulo con la richiesta, la banca verifica e in 48 arriva la risposta con i soldi. A tasso zero e da restituire in cinque anni. Perché in Italia non possiamo avere un meccanismo del genere e non facciamo altro che ascoltare appelli alle certezze e alla velocità nelle decisioni? Colpa della burocrazia. Risposta troppo comoda ed evasiva. La burocrazia è un’intendenza e fa il suo mestiere, applicando le leggi che in Italia sono troppe e mai scritte in modo chiaro e semplice. E sopra la burocrazia c’è la politica che la orienta e, nei limiti imposti dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, la comanda. Dunque, anche sotto questo aspetto il boccino è nella mani dei politici. Se davvero il Ponte di Genova, come sembra, sarà consegnato in tempi record, una volta usciti dai fumi della retorica dell’Italia che quando vuole è capace di fare meglio di tutti, avremo semplicemente una prova concreta e attualissima di chi indossa i panni del manovratore. La politica, che ha tutte le prerogative per piegare le lentezze burocratiche e realizzare un’opera pubblica, peraltro molto complessa, in tempi record. Bastano un sindaco e un governatore che fanno i mastini per controllare che la tabella di marcia dell’opera vanga rispettata.
Nel rapporto tra esperti, o tecnici che dir si voglia (spesso bene etichettati sul piano dell’appartenenza a qualche tribù di partito), e politici si esprime uno dei fattori essenziali per i quali alla politica, capace di dare sintesi a interessi talvolta molto contrastanti, spetta comunque il primato. Se non c’è questo, la politica è solo spartizione del potere in modalità da ordinaria amministrazione. Senza visione, senza slanci e senza futuro.
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