Il risultato dei referendum di domenica scorsa ha significato l’ingresso ufficiale della Rete nell’agorà della politica. Mentre la televisione, pubblica e privata, si è ritrovata ingessata dalle alchimie e dai veti dei partiti, il popolo web si è scatenato utilizzando tutti gli strumenti della piattaforma di Internet per scambiare le informazioni, alimentare la propaganda a favore dei Sì, e perfino proporre servizi per spingere i cittadini al voto. Dalle mail ai blog, da Facebook a Twitter, passando per le diverse applicazioni della Rete: è come se una macchina, con un potentissimo motore, si fosse messa in moto, senza vincoli di appartenenza e con una forma collettiva di partecipazione che sicuramente non ha precedenti e traccia oggi un nuovo orizzonte nella battaglia politica in Italia.
Ma chi ha spinto sull’acceleratore della macchina? Quali sono le tribù del web che hanno trasformato la Rete, in alternativa alla televisione, nel luogo prediletto per affermare le proprie ragioni con uno strumento, il referendum, da decenni depotenziato e perfino ignorato dall’opinione pubblica? Partiamo da due dati: sono ormai 27 milioni gli italiani che accedono a Internet, mentre 18 milioni di utenti sono iscritti al social network Facebook, un gigante del web prossimo a una quotazione in Borsa valutata attorno ai 100 miliardi di dollari. Siamo in presenza, quindi, di un fenomeno di massa, con uno zoccolo duro di partecipazione giovanile (circa il 30 per cento), assolutamente trasversale dal punto di vista degli orientamenti politici. La Rete offre rapidità e sintesi nelle notizie che mette in circolazione (comprese le bufale), e consente l’esercizio dell’ironia e della creatività. Attira come una calamita e non perdona nei suoi giudizi spesso perentori.
Le comunità che sono scese in campo con i referendum sono di varia natura, ma l’aspetto comune è stato quello di una forza propulsiva che si è andata moltiplicando mano a mano che ci si avvicinava alla scadenza del voto. Un meccanismo di cerchi concentrici, sempre più larghi. L’associazione Comuni virtuosi, che riunisce piccole amministrazioni locali impegnate a ridurre l’impatto ambientale in tutti i settori (dall’energia ai servizi pubblici), innanzitutto attraverso delle buone pratiche, ha un sito con 10mila utenti unici. Ma la sua pagina su Facebook intitolata Acqua Pubblica dal gennaio 2010 a oggi ha raccolto un milione di fans. L’idea è nata da due amministratori di piccoli centri: Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano, e Marco Boschini, assessore all’Ambiente del comune di Colorno, in provincia di Parma. Sono partiti in sordina, con pochi mezzi, e oggi dispongono di una micidiale piattaforma di propaganda politica, che qualsiasi partito farebbe molta fatica a mettere in piedi sul territorio.
La Rete significa allargare, come un elastico, il linguaggio della politica, sovrapponendo messaggi, quasi sempre molto brevi, e video, particolarmente attraenti per il popolo web sempre assetato di immagini. L’obiettivo fondamentale dei vari gruppi e movimenti favorevoli al Sì era quello di spingere i cittadini al voto per fare scattare il quorum: da qui si sono moltiplicate le iniziative in una sorta di passaparola tra singoli utenti del web. All’inizio della campagna lo slogan più cliccato è stato quello di portare al voto almeno cinque amici, alla fine, per lo scatto decisivo, si è scelto di dare in diretta la presenza alle urne per scatenare, come è avvenuto, un effetto emulazione. La mattina di domenica 12 giugno, tre le 11 e le 13, in una fase cruciale della battaglia referendaria, sono comparsi su Twitter 10 messaggi al minuto, provenienti da ogni parte d’Italia, dal titolo “Io ho votato”. E’ come se milioni di persone, in un arco di tempo molto ristretto, avessero comunicato in una pubblica piazza, affollata di potenziali elettorali, la loro decisione di voto. Quanto alle immagini, il canale prediletto non poteva che essere YouTube, con appelli, interviste, documenti. Risultato: cliccando la parola referendum su YouTube si possono scaricare quasi 31mila video, e di questi gli otto più popolari sono stati visti da 1 milione e 700mila visitatori. L’appello dell’attore Corrado Guzzanti, a favore della partecipazione al voto e destinato solo ai non vedenti, ha ricevuto 200mila visualizzazioni in due giorni. Il disegno di Altan “Io vado a votare” è stato scaricato da 60mila persone al giorno. La pagina su Facebook intitolata Taxi Qorum e aperta per accompagnare gratuitamente al seggio invalidi, bisognosi e anziani, ha raccolto oltre 5mila adesioni, fornendo perfino un numero di cellulare a chi avesse voluto partecipare all’iniziativa.
E i partiti? Dov’erano nella Rete? Nascosti, molto laterali come nel caso del centro-sinistra, anche rispetto a movimenti collaudati sul web, come il Popolo Viola (400mila fan) e il Blog di Beppe Grillo che vanta milioni di accessi quotidiani. D’altra parte, in questo caso, più che la politica intesa come duello tra gruppi e fazioni, funzionava la calamita degli argomenti, come il nucleare e l’acqua. Il referendum più pesante sul piano dello scontro tra i partiti, quello sul legittimo impedimento, è stato molto trascurato dalle tribù del web, come dimostra il fatto che la sua pagina su Facebook non è andata oltre i 3.500 iscritti. E perfino Antonio Di Pietro, il leader del partito più esposto nella battaglia referendaria ha scelto una strategia di basso profilo nella propaganda sui social network: tanto che il simbolo dell’Italia dei Valori non appare nei PicBadges, le immagini come quelle dei santini o dei vecchi gadget cartacei che rappresentavano il Sì ai referendum.
E’ ancora presto per dire quanto e come la Rete diventerà anche in Italia lo strumento determinante per vincere le elezioni, costringendo tutte le forze politiche a uno sforzo di innovazione del linguaggio e della propaganda, come è già avvenuto quando la televisione ha cancellato i comizi in piazza. Ma se l’elezione di Obama alla presidenza americana ha segnato il trionfo di Facebook, e se le rivoluzioni in Medio Oriente si stanno espandendo a macchia d’olio sotto le insegne di Twitter, la cosa sicura è che i referendum in Italia hanno spostato l’asse della partecipazione verso la Rete. E’ tornata, insomma, una politica del porta-a-porta, quella che nel Novecento si consumava inseguendo i voti casa per casa, parrocchia per parrocchia, cellula per cellula, e che adesso si è trasferita nell’universo popolare del web. Dove il virtuale, come dimostrano i risultati dei referendum, si può trasformare molto rapidamente in reale.
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