di Primo Di Nicola
Sono nel mirino come il più inutile degli organismi statali. E puntualmente finiscono nell’occhio
del ciclone quando si parla di tagli ai costi della politica. C’è chi ne invoca la cancellazione pe l’inconsistenza delle funzioni che svolgono e chi per risparmiare le troppe risorse che bruciano.
Invece le province sono sempre là: insaziabili centri di potere capaci come pochi altri di dilapidare risorse per gli scopi più singolari.
Valva è un paesino della Valle del Sele, in provincia di Salerno. Nell’agosto del 2009, l’estate degli scandali sessuali di Silvio Berlusconi, fu lì che a Noemi Letizia, la perla del suo “harem”, nell’ambito del “Valva Film Festival“ fu consegnato un premio alla carriera “Per il talento che verrà”. Peccato che quel festival e quell’inutilissimo premio siano stati finanziati dalla provincia di Salerno. Che per l’occasione, per mano del suo presidente Edmondo Cirielli, deputato Pdl, ha staccato un assegno da 25 mila euro. E che dire della mega-cena per 500 operatori turistici e politici pagata dalla provincia di Lecco per ospitare una conferenza sul turismo? La manifestazione è costata 140 mila euro (più Iva) e per qualche giorno ha portato la città sulla ribalta nazionale. Lecco non è stata infatti scelta a caso: il ministro per il Turismo Michela Vittoria Brambilla abita a sette chilometri dalla città e per lei l’evento si è rivelato un’ottima vetrina elettorale visto che ci è arrivata in barca, con tanto di orchestrina e telecamere Rai al seguito.
Da Lecco a Milano, la musica è sempre la stessa. Come dimostra un finanziamento del presidente della Provincia Guido Podestà all’Associazione Occidens per la presentazione del libro “Lucchesità Vizi e Virtù”. Argomento lontanissimo dagli interessi dei milanesi. Come mai allora Podestà ci ha messo 10 mila euro? Forse perché Occidens viene da Lucca, città natale del suo presidente onorario Marcello Pera, ex presidente del Senato, ma soprattutto compagno di partito dello stesso Podestà, uno che per gli amici si è sempre fatto in quattro. Come Luigi Cesaro, deputato Pdl e presidente della Provincia di Napoli,a tutti noto come “Giggino a purpetta”. Cesaro ha stanziato 50 mila euro per il rinnovo dell’arredo degli uffici di rappresentanza del Comune di Sant’Anastasia, dove da un anno circa è sindaco il suo ex capo di Gabinetto, Carmine Esposito, un amico per la pelle. Sono solo alcune delle elargizioni delle Province italiane. Per le scelte nel mare magnum dei finanziamenti che ogni anno impreziosiscono i loro bilanci. Bilanci miliardari che i cittadini amerebbero tanto vedere azzerati considerando che sulla soppressioni delle province un po’ tutti i partiti sono d’accordo. Non c’è stata tornata elettorale in cui destra e sinistra non abbiano scritto sui loro programmi la magica parola “soppressione”. Alla vigilia delle elezioni del 2008, per esempio, giurarono sulla cancellazione sia Berlusconi («Le province dobbiamo abolirle») che l’allora segretario del Pd Walter Veltroni («Serve l’abolizione delle province»). Persino Casini per l’Udc prese un impegno solenne («L’abolizione delle province è fondamentale »). Ma quando l’anno successivo Antonio Di Pietro è riuscito a portare in aula un disegno di legge dell’Idv, ecco il voltafaccia. Invece di approvare la soppressione, berlusconiani e democratici hanno votato con la Lega un rinvio “sine die” del problema. Copione che si è ripetuto il 15 giugno scorso, quando l’esame del ddl dipietrista è stato di nuovo rinviato da Montecitorio. Le province non si toccano, insomma. Anche perché sono delle formidabili macchine elettorali. E i consiglieri e i presidenti in esse eletti dei temutissimi portatori di pacchetti di voti. Che spendono in tutte le direzioni per coltivare i loro feudi e premiare famigli e amici di partito. Il presidente della giunta di centrodestra di Cremona, Massimiliano Salini, un Pdl vicino a Comunione e liberazione, ha per esempio nominato il fratello Rossano direttore della testata giornalistica “L’informatore”, organo dell’amministrazione provinciale. In redazione lavorano tre persone e si spartiscono 70 mila euro l’anno.
Fulvio Pacciolla ricopre invece dall’aprile 2010 il ruolo di vice capo di gabinetto allaProvincia di Milano, una carica che non esiseva nelle amministrazioni precedenti. Fino al 2010 Pacciolla risultava però direttore generale della Rsa Helipolis di Binasco, una clinica che faceva capo al gruppo Zanella, controllato all’80 per cento da Noevia Zanella. Chi è costei? La moglie del presidente Podestà. Dal Pdl alla Lega, formazione che notoriamente acchiappa voti urlando contro gli sprechi di “Roma ladrona”, salvo non differenziarsi molto nello sperpero quando si trova ad amministrare le casse. A Brescia, un leghista doc come Daniele Molgora appena salito alla presidenza della Provincia ha promesso di sforbiciare le spese inutili. Non si è fatto però problemi nel varare un progetto per la creazione di una inutile Orchestra di Brescia di cui si conoscono già i costi (200 mila euro l’anno) e il nome del direttore: Enzo Rojatti, già direttore della disciolta Orchestra della Padania. La presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, appena eletta, un anno fa, ha deciso invece di festeggiare la vittoria con un bell’aumento di stipendio per sé e per gli assessori. Una trovata che comporterà un incremento di spese di 200 mila euro da qui alla scadenza della legislatura.
Le province d’altra parte sono uno dei piatti forti del “buongoverno” dei leghisti: ne presiedono una quindicina e, nonostante in campagna elettorale si siano impegnati con Berlusconi per l’abrogazione, sostengono a spada tratta la loro esistenza. Qualche anno fa minacciarono addirittura l’uscita dal governo se non fosse nata la provincia di Monza (solo per il varo è costata quasi 50 milioni di euro), mentre ancora oggi il deputato leghista Caparini non si fa problemi nel chiedere l’istituzione della provincia della Valcamonica con capitale Breno, una “metropoli” da 5 mila abitanti.
Ma inutile meravigliarsi, i leghisti sono fatti così. La provincia di Bergamo, tanto per fare un altro esempio, ha un ufficio di rappresentanza a Roma, a piazza Colonna. Costo: 65 mila euro l’anno. Durante l’ultima campagna elettorale il candidato presidente Ettore Pirovano, bossiano sfegatato, aveva garantito che «una delle prime scelte, se fosse stato eletto, sarebbe stata la chiusura della sede romana». Inutile dire che quegli uffici sono là anche se Pirovano è stato puntualmente eletto. Spendere, infatti, è molto più semplice che tagliare. E lo si vede scandagliando le province da Nord a Sud, come ha fatto “l’Espresso”. La provincia di Trento ha dato una consulenza di 20 mila euro a due professori universitari «per capire gli orsi »; spende 2 milioni per acquistare divise
a bande musicali e gruppi folkloristici, schützen compresi (a questi paga anzi anche gite sulle nevi a Folgaria); mentre Belluno elargisce oltre 200 mila euro per una consulenza per l’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio dell’Unesco. Scendendo nel Meridione, si distingue ancora Napoli per il finanziamento del progetto “La cucina di mammà” (35 mila euro); i 40 mila euro spesi per sovvenzionare i Cantori di Posillipo e gli altri 4 mila sperperati per cravatte griffate che il presidente Cesaro regala a Natale. Ancora più a sud, la provincia di Palermo brilla per i 200 mila euro elargiti per bande musicali, fiere e sagre (si va dalla salsiccia al ficodindia); i 4 mila euro per il sostegno all’associazione Badminton di Cinisi; i 10 mila per foraggiare la confederazione siciliani del Nord America. Indimenticati restano però i 5 mila euro dilapidati nella sagra dell’asino di Castelbuono e l’altro migliaio bruciati per scoprire il «significato della musica nella preistoria».
Infine, la Sardegna, che in fatto di province nell’ultimo decennio non si è fatta mancare niente visto che, in quanto Regione autonoma, in un sol colpo, nel 2001 ha deciso di raddoppiarne il numero, passando da quattro a otto. Sugli scudi dunque anche l’isola, che si distingue pure per il contributo di 70 mila euro di Carbonia- Iglesias per il censimento e lo studio delle abitudini dei cormorani; quello del Medio Campidano che foraggia la sagra del salmone e per l’incarico conferito dall’Ogliastra a un ingegnere per scoprire quali dei gestori telefonici avesse la tariffa più conveniente.
Come se un qualsiasi dipendente non potesse assolvere il compito. È anche per questo che le province costano
tanto. E per un modo di amministrare che spesso suscita le ire della Corte dei conti. Da Nord a Sud non si contano
i casi di cattiva amministrazione. Varese è nel mirino dei giudici contabili per gli acquisti impropri per la pulizia del lago Maggiore (macchinari comprati da un funzionario incompetente); Palermo, alle prese con le conseguenze delle scorribande nei derivati dell’ex presidente Francesco Mussotto, per le anomalie e le disfunzioni riscontrate nei bilanci; Trento per la moltiplicazione dei centri di spesa, la proliferazione delle consulenze, la «poca chiarezza» nell’esposizione dei dati contabili delle società partecipate. Insomma, un mare di irregolarità nel quale galleggia anche il caso dell’astro nascente del Pd, Matteo Renzi, sindaco di Firenze. In precedenza presidente della stessa
Provincia, Renzi è sotto esame per l’assunzione di persone sprovviste dei titoli necessari. Una colpa grave per la Corte dei conti che gli ha contestato, insieme ai membri della giunta, un danno erariale di circa 2 milioni di euro.
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