COSTO DELLE PROVINCE –
Un gigantesco stipendificio. L’aggiornamento al 31 ottobre scorso della spesa pubblica in Italia, firmato dalla Ragioneria, è un’ottima guida per capire, in tempo reale, quali sono le zone d’ombra dei vari rubinetti di costi che, sommati, formano il bilancio dello Stato. E immediatamente salta all’occhio la sproporzione della quota destinata a pagare i dipendenti pubblici, con organici ancora molto gonfiati. Due esempi per tutti. Nella scuola in 10 mesi si sono spesi 32 miliardi di euro, una cifra non banale che parametrata ad ogni studente della scuola primaria e secondaria risulta superiore alla media dell’Ocse rispettivamente del 27 e dell’8 per cento. Ma dove vanno questi soldi? Quasi tutti, 31 miliardi di euro, evaporano in stipendi per gli insegnanti (uno ogni 11 studenti, rispetto ai 19 della Germania e della Francia), mentre per la ricerca e lo sviluppo sono stati stanziati appena 2 miliardi di euro. È una spesa pubblica per l’esistente, senza margini per il futuro, dagli investimenti in tecnologie alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Lo stesso paradosso si registra nel settore della Difesa e della sicurezza, oggi più che mai strategici con i venti di guerra che soffiano nel mondo. La spesa pubblica complessiva è di 24,6 miliardi, ma i tre quarti di questa somma (18,7 miliardi) servono a pagare gli stipendi di 176mila militari e 28mila civili. Secondo le statistiche della Nato la spesa per il personale italiano è la più alta tra i 27 paesi dell’Alleanza Atlantica, preceduta solo da Slovenia e Belgio. È il motivo è che quasi un terzo dei componenti dell’esercito hanno lo stipendio, con i relativi benefits, dei marescialli, il grado superiore ai sottoufficiali. Todos caballeros, con 750 milioni per i mezzi aerei (ne serviranno sempre di più), 165 milioni per l’acquisto di nuovi mezzi navali e appena 4 milioni di euro per l’aggiornamento dei software. Anche al ministero degli Interni c’è una voce che riguarda la “Sicurezza”, con qualche sorpresa, come i 60mila euro spesi per gli strumenti musicali (le bande di paese?). Complessivamente, i cinque corpi di pubblica sicurezza occupano 320.000 persone e l’Eurostat, pur non includendoli tutti nei suoi calcoli, ci piazza all’ottavo posto su 34 paesi europei nel rapporto tra unità di polizia e popolazione.
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COSTI DELLA POLITICA –
Dopo gli stipendi, una seconda voce trasversale, tra i tanti numeri pubblicati dalla Ragioneria, è ancora molto sospetta: gli esorbitanti costi della politica. Parliamo solo delle istituzioni centrali: 2,5 miliardi per la Camera dei deputati, 1,5 miliardi per il Senato, 309 milioni per la Presidenza del Consiglio e 214 milioni per il Quirinale. Troppi soldi. E sebbene i confronti internazionali non siano facili, per i diversi sistemi della rappresentanza parlamentare, è pur vero che in Inghilterra la Camera dei Comuni e la Camera dei Lord, insieme, non costano più di 700 milioni di euro, in Germania il Parlamento ha un budget complessivo di 670 milioni di euro e in Francia di 900 milioni di euro. Quanto a costi della politica, eravamo e restiamo fuori dall’Europa.
ABOLIZIONE DELLE PROVINCE –
Un’altra potenziale sforbiciata, annunciata ma non ancora andata a regione, riguarda le istituzioni da chiudere e quelle dell’amministrazione della giustizia. Le province, che ormai sono state liquidate, continuano a costare più di 1 miliardo all’anno. Fino a quando? E il Cnel, diventato anche ingiustamente un simbolo degli sprechi del denaro pubblico, pur essendo cancellato, è costato nei primi dieci mesi del 2015 ancora 6 milioni di euro. Quanto ai vari organismi dell’amministrazione della giustizia c’è una differenza abissale tra il costo del Csm, 26 milioni di euro, e quello della Corte Costituzionale, 52 milioni di euro. Il doppio. Non certo giustificato dalla differente delicatezza delle funzioni, né dagli impegni di lavoro, ma solo da alcuni privilegi di cui ancora godono i membri della Corte Costituzionale.
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SOLDI PER TUTELA AMBIENTE –
Nella fotografia della Ragioneria ci sono poi i soldi pubblici che mancano all’appello e quelli che non riusciamo a spendere. Per la tutela dell’Ambiente finora abbiamo speso, nel 2015, 660 milioni di euro: in gran parte, ancora una volta, si tratta di stipendi. Sono invece chiusi dei cassetti delle varie amministrazioni, soldi già stanziati, 2,36 miliardi di euro che dovrebbero essere investiti per gli interventi di prevenzione e cura di un territorio dove l’81 per cento dei comuni risultano in dissesto idrogeologico. E sette regioni da 15 anni non hanno tirato fuori un euro in questo settore.
Alla fine dei conti, il contatore del debito pubblico, il macigno che ci trasciniamo ormai da decenni, continua a girare a velocità sostenuta. Siamo a 138,1 miliardi di euro, e nella contabilità della Ragioneria mancano ancora due mesi (novembre e dicembre) per arrivare al totale dell’anno. Per il momento, abbiamo la fortuna di pagarlo con interessi bassi, grazie all’andamento dei mercati finanziari e alla politica ancora espansiva della Banca Centrale Europea che deve fronteggiare la stagnazione dell’economia e l’inflazione troppo bassa. Ma fino a quando avremo questo vantaggio?
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