A chi avesse ancora qualche dubbio sui danni e sugli sprechi che hanno colpito gli studenti italiani con la didattica a distanza, suggerisco un’attenta lettura dei risultati di una ricerca sul campo realizzata dall’Invalsi, l’ente di ricerca che si occupa, tra l’altro, di verificare i livelli di apprendimento e di verificare le conoscenze degli studenti. Il quadro che emerge da questa indagine è semplicemente spaventoso.
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DIDATTICA A DISTANZA, GLI EFFETTI NEGATIVI
In generale si arriva alla conclusione che uno studente su due è impreparato. E quasi la metà dei ragazzi che hanno fatto la Maturità, dopo il periodo delle lezioni da casa, sono in grado di rispondere a domande che dovrebbero fare parte di un programma di apprendimento della terza media, o al massimo del primo anno di liceo. Un bel tuffo all’indietro. Il 44 per cento dei ragazzi usciti dalla terza media non ha le competenze minime in italiano e il 51 per cento si trova nella stessa condizione rispetto alla matematica. Inutile dire, per completare il quadro, che i dati sono più pesanti, mediamente di circa 10 punti, nelle regioni meridionali dove la dad ha funzionato a singhiozzo e con diversi rallentamenti.
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I DANNI DELLA PANDEMIA SULLA SCUOLA
Purtroppo il sostanziale arretramento della scuola italiana, a tutti i livelli, a causa della pandemia, arriva dopo anni nei quali i risultati dell’apprendimento erano già pessimi, anche per effetto di una didattica superata e di una scarsa formazione dei docenti. Ma con questi numeri c’è una generazione di studenti che ha bruciato un paio di anni di scuola, e dovrà recuperare in fretta se intende proseguire gli studi e formarsi in modo più solido per entrare nel mondo del lavoro. Fin qui i danni in termini di apprendimento della didattica a distanza, che in tanti, anche nella piramide del mondo scolastico, hanno stupidamente sottovalutato. Poi c’è il resto.
IN QUANTI ESCLUSI DALLA DIDATTICA A DISTANZA?
Partiamo dal presupposto che l’8 per cento degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado in Italia sono rimasti esclusi da qualsiasi forma di didattica a distanza, e questa percentuale sale al 23 per cento per gli studenti con qualche disabilità. Che significa? Semplicemente che la scuola italiana forma sempre peggio e allo stesso tempo è sempre più diseguale: alimenta svantaggi e distanze sociali, invece di accorciarle. La didattica a distanza era già partita da qualche mese quando la Fondazione di Sant’Egidio, con un’indagine sul campo, scoprì che il 61 per cento degli alunni delle scuole delle periferie romane non avevano fatto neanche un’ora di lezioni.
CON LA DAD PIÙ ABBANDONI SCOLASTICI
Un altro segnale di una scuola più ingiusta è nell’impennata degli abbandoni scolastici. Secondo un’indagine dell’Ipsos, tra gli studenti della scuola secondaria, nel 28 per cento delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono. Se applichiamo questa percentuale alla generalità degli iscritti, abbiamo circa 34mila ragazzi che hanno deciso di lasciare gli studi. D’altra parte le segnalazioni deli abbandoni si sono andate moltiplicando nelle procure minorili: a Napoli, per esempio, soltanto in un mese e mezzo 900 alunni sono stati segnalati in quanto hanno deciso di lasciare la scuola, rispetto a una media annuale che non superava i 400 studenti.
LE DIFFICOLTÀ DELLE FAMIGLIE
La didattica è distanza è stata poi un incubo per le famiglie, sia dal punto di vista organizzativo sia sul piano psicologico. Il conto più salato, con i ragazzi, lo hanno pagato le donne, altro spreco e altra discriminazione. Molte hanno dovuto rinunciare al lavoro: non potevano reggere più il ritmo massacrante di un’attività lavorativa sommata alla cura di qualche figlio, presente in casa tutto il giorno. Meno donne al lavoro ha significato anche meno entrate per tante famiglie, e quindi un impoverimento generale nelle fasce più basse del ceto medio, dove lo stipendio di un solo familiare generalmente non basta a garantire un tenore di vita soddisfacente per tutta la famiglia.
I DANNI PSICOLOGICI
Quanto ai danni psicologi, uno studio sulla vita familiare realizzato in 5 continenti e in 72 paesi del mondo, da parte della Hamad Bin Khalifa University del Qatar, ha dato i seguenti risultati: in Europa 70 giovani su 100 hanno sofferto di ansia, e la patologia è aumentata di intensità laddove le famiglie sono più numerose e gli spazi della casa più ridotti. Abitazioni piccole, con l’impossibilità di dividere gli spazi per lo studio da quelli per il lavoro, hanno creato un ulteriore disagio nella vita familiare di intere generazioni di giovani.
La didattica a distanza ha fatto franare in un colpo solo l’intero sistema di relazioni che sottintende la scuola e ne rappresenta una componente essenziale. Sono saltate completamente le relazioni orizzontali, tra studenti, e verticali, con gli insegnanti. La scuola infatti serve anche a questo: a costruire rapporti umani, che sono fatti di sguardi, di contatti, di vicinanza fisica e umana. E non di conversazioni davanti a un pc o con uno smartphone. La relazione verticale, con l’insegnante, è fondamentale per una buona riuscita dell’apprendimento e per avvicinare lo studente alla materia, specie quando gli appare molto ostica. Ognuno di noi ha qualche insegnate che ricorda come decisivo per la nostra formazione scolastica, un maestro che ha dato un’impronta alla nostra vita di studenti. Chi ricorderanno questi ragazzi dopo quasi due anni di lockdown? E come ricorderanno i loro insegnanti?
LA TECNOLOGIA A SCUOLA
Nella scuola della didattica a distanza la zampata della tecnologia ha fatto un altro passo avanti. E diventa sempre più dominante nell’intero universo giovanile, con tutte le implicazioni, i rischi e le debolezze che ne derivano. Il computer comanda su qualsiasi tipo di rapporto umano, e mister Google fornisce l’illusione di avere una risposta, e dunque una preparazione, per qualsiasi domanda. Nella finzione di una nuova forma di partecipazione e di contatti, in realtà non fa altro che isolare. Più stressati, più impauriti, più soli: questi sono i ragazzi della didattica a distanza.
I BENEFICI DELLA DAD
L’unico elemento confortante, adesso che abbiamo un quadro più preciso dei danni che si sono andati accumulando nel sistema scolastico con la pandemia, consiste nel fatto che finalmente ci sono le risorse, una parte non irrilevante dei fondi europei destinati proprio alle risposte al coronavirus, per interventi radicali, e non le solite pezze che mettiamo da anni. Adesso si parla di scuola con investimenti, e non con tagli. Di una scuola che non dovrà sprecare un euro dei soldi in arrivo, e dovrà impegnarli innanzitutto con l’obiettivo di mettere gli studenti in condizione di recuperare i ritardi degli ultimi due anni scolastici. La scuola del futuro dovrà essere sempre e comunque in presenza. Serviranno tante assunzioni, innanzitutto nel corpo dei docenti, e serviranno soldi per pagare meglio gli insegnanti, a qualsiasi livello. Bisognerà migliorare, e di parecchie tacche, la formazione dei professori per allinearli ai nuovi criteri di formazione e ai nuovi standard. Bisognerà avere scuole più sicure e più accoglienti. Riportando il sistema scolastico al centro di un’azione di governo di lungo respiro e non di un continuo tamponamento dell’emergenza. Non nascondiamolo: è una scuola da rifare. Partendo dal basso e con la consapevolezza che senza una buona formazione, disponibile per tutti, non avremo mai una buona ricostruzione del Paese.
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