Il diritto alla riparazione sembra un concetto generico, ma in realtà se fosse davvero applicato consentirebbe ai consumatori europei di risparmiare qualcosa come 12 miliardi di euro all’anno. E’ la cifra spesa per i ricambi dovuti a un’obsolescenza troppo rapida e dunque sospetta. Ognuno di noi è vittima di questo perverso meccanismo, e quando cerca di riparare un apparecchio elettronico o elettrico, si sente dire sempre la stessa cosa: “Le conviene comprarlo nuovo”.
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I danni ambientali
A parte il danno economico, l’obsolescenza programmata e in generale la tendenza degli elettrodomestici a durare sempre meno, crea anche un danno ambientale. Lo smaltimento prematuro di questi prodotti determina 261 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 e genera ogni anno 35 milioni di tonnellate di rifiuti. Non sempre smaltiti in modo corretto.
La legge europea
La legge sul diritto alla riparazione approvata nell’aprile 2024 dal Parlamento europeo, prevede diverse, importanti novità. La prima si applica “a qualsiasi bene mobile materiale” , compresi quelli che incorporano un servizio o un contenuto digitale. La seconda: produttori, fornitori e rivenditori, sono obbligati a fornire tutte le indicazioni per riparare gli oggetti eventualmente guasti. Terzo: i pezzi di ricambio devono essere comunque disponibili. Quarto: se il consumatore sceglie di riparare anziché sostituire avrà diritto a un anno in più di garanzia. Il prodotto aggiustato andrà restituito entro un mese dalla riparazione e su una piattaforma online ogni consumatore potrà trovare i posti dove riparare i prodotti più vicini alla propria abitazione.
I ricambi non originali
Il nuovo diritto alla riparazione prevede anche la possibilità di sostituire i pezzi rotti con ricambi non originali. I produttori non possono opporsi a questa decisione del consumatore, così come non possono vietare l’uso di pezzi di ricambio di altre marche oppure creati in 3D.
Quando entra in vigore
Purtroppo il vero punto debole della nuova legge europea sul diritto alla riparazione riguarda i tempi dell’entrata in vigore. Ogni stato dell’Unione avrà a disposizione due anni per trasferire nella normativa nazionale le regole approvate a Bruxelles. In attesa di una legge nazionale, si potrebbe iniziare a stringere i tempi prendendo spunto dal modo con il quale i francesi hanno già introdotto di fatto il «diritto alla riparazione». In Francia tutti gli apparecchi elettrici ed elettronici devono essere forniti di un’etichetta che indica il rispettivo indice di riparabilità. Ovvero la potenzialità dell’oggetto a essere riparato e non sostituito. In Svezia sono previsti molti incentivi per riparare e non sprecare. E in tutta Europa spopolano i cosiddetti Repair Cafè.
La reperibilità dei ricambi
I criteri in base ai quali viene assegnato l’indice, che ha poi un’influenza sul prezzo (più un prodotto è riparabile, più aumenta il suo valore di partenza) sono cinque.
- La documentazione dell’apparecchio che deve essere completa, e deve comprendere anche i punti vendita ai quali rivolgersi per l’assistenza. Nei documenti non deve mancare una lunga garanzia che attualmente nei Paesi Bassi, a fronte di un media europea di due anni, arriva a cinque anni.
- Secondo criterio: l’accessibilità allo smontaggio. Una lavatrice, come un computer, devono essere facilmente smontabili per essere appunto riparati.
- Poi l’accessibilità ai pezzi di ricambio, uno degli anelli più deboli della catena della riparazione.
- E la garanzia che i pezzi di ricambio, oltre a essere sempre disponibili, abbiano anche prezzi non speculativi.
- Infine, la specificità dell’indice di riparabilità riferita a ciascun oggetto: restando al nostro esempio, un computer, almeno in partenza, è più facile da riparare rispetto a una lavatrice.
Inutile dire che il «diritto alla riparazione» si iscrive pienamente all’interno del programma per lo Sviluppo sostenibile secondo i 17 obiettivi dell’Agenda Onu 2030: si tratta infatti di un pezzo essenziale dell’economia circolare.
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