Via Giordani, quartiere Lorenteggio, periferia sud-ovest di Milano. Zona popolosa e popopolare, ex-quartiere operaio insieme al quartiere gemello di Giambellino, utilizzato adesso come sede di molte aziende o comunque edifici a uso commerciale e aziendale. In dialetto i milanesi lo chiamano Défense de Puarit, la Défense dei poveretti, quasi a scimmiottare il celebre quartiere parigino sede degli affari.
E, in effetti, Lorenteggio è proprio un quartiere di confine, un valico che lambisce i quartieri più in di Porta Genova o dei Navigli, una strana mescola di case popolari e palazzine signorili.
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DONNE CHE VIVONO SOTTO UN PONTE
E tra il complesso residenziale Aler e le palazzine industriali e futuristiche di via Kuliscioff, nei pressi di via Giordani, c’è un cavalcavia, inaugurato nel 2004, in un area costellata da quelle che erano grandi e piccole industrie poi dismesse, qualche campo ancora coltivato e spazi abbandonati.
Il ponte di via Giordani, più volte agli onori della cronaca per essere una sacca di disagio urbano, è quello che si chiamerebbe “non-luogo”, ma per tre donne sole, sfrattate e rimaste senza lavoro è diventata una casa: Elena, sua figlia venticinquenne Erica e a sua sorella Rita. Più nove cagnolini. Ciò che resta delle loro case sono due tende, qualche mobile e tantissima dignità.
Tutto comincia lo scorso settembre, da quando, perso il lavoro, Elena ha cominciato a far accumulare gli arretrati dell’affitto, ricevendo quindi un impietoso avviso di sfratto. Senza disperarsi, con una forza immensa, tenda in spalla insieme a sua figlia e a sua sorella, dopo un giro di perlustrazione approda al cavalcavia.
La vita in strada è durissima, di notte le donne sono sole, in balia di chi la notte la usa non solo per dormire: balordi, spacciatori, anche chi vuole rubare quel poco che le donne hanno.
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QUARANTENA SOTTO UN PONTE A MILANO
E poi, la pandemia. Il Covid-19 ha acuito le difficoltà: lavoro non se ne trova, con il lockdown non si può uscire a cercarlo, la paura della malattia si somma alla paura quotidiana, rendendo intollerabile una situazione già precaria.
Sembra una di quelle storie tutte uguali di istituzioni assenti, e come spesso accade, il cuore di un quartiere sa diventare più attento e più forte. Specialmente durante questa situazione traumatica per tutto il paese.
Da qualche settimana, infatti, un gruppo di abitanti del quartiere ha notato l’accampamento delle tre donne e le sta aiutando, tutte le sere, portando loro cibo, vestiti, disinfettanti e mascherine, pagando tutto di tasca propria per soccorrere le tre donne. C’è Cristian con sua moglie Lucia, Sabrina, Matteo, Davide, Andrea e Momudh. Con tutti loro Elena, Erica e Rita hanno stretto un vero e proprio rapporto di affetto, e che quando è stato necessario fare qualcosa non si sono tirati indietro, facendosi in quattro per aiutarle.
Proteggendole soprattutto dalla paura del contagio e di un virus sconosciuto, che, come confida Elena in un’intervista al Corriere, l’ha davvero attanagliata. Anche lei che “paura nella vita non ne ha”, neppure quando ha dovuto andare a vivere sotto un ponte.
(Immagine in evidenza tratta da Affari Italiani // Photocredits Affari Italiani)
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