E dopo il petrolio?

"Proiettiamoci nel futuro: quando gli esseri umani non bruceranno più carbone, petrolio o gas naturale. Continueremo a guidare qualche tipo di auto? Viaggeremo in aereo? Da dove verrà la luce per l’illuminazione?" Comincia così l’ultimo saggio di Robert Laughlin, premio Nobel per la fisica, docente all’università di Stanford nel cuore della Silicon Valley californiana: Powering […]

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"Proiettiamoci nel futuro: quando gli esseri umani non bruceranno più carbone, petrolio o gas naturale. Continueremo a guidare qualche tipo di auto? Viaggeremo in aereo? Da dove verrà la luce per l’illuminazione?" Comincia così l’ultimo saggio di Robert Laughlin, premio Nobel per la fisica, docente all’università di Stanford nel cuore della Silicon Valley californiana: Powering the Future (Basic Books, 2011).

Puntando sulle proprie competenze, parla da fisico, non da economista né da scienziato dell’ambiente: questo gli consente di tenere i piedi per terra, ragionando su vincoli e leggi della fisica fondamentali. E sfocia su una conclusione sorprendente: dovremo continuare a fabbricarci qualcosa che assomigli a petrolio, benzina e cherosene, perché né l’idrogeno né l’atomo né il solare potranno completamente sostituirsi all’efficienza di questi carburanti. Ma li produrremo sinteticamente grazie all’agricoltura. "Non sottraendo raccolti alla stessa agricoltura che alimenta gli esseri umani; bensì coltivando oceani e deserti".

Laughlin adotta un approccio originale per riuscire a parlare alla sinistra e alla destra, agli ambientalisti e agli "industrialisti": si proietta in un futuro inevitabile, "quando i carburanti fossili nelle viscere della Terra saranno finiti", lasciando ad altri le diatribe sulla data esatta in cui ciò accadrà. Non vuole schierarsi con il partito dei "limiti dello sviluppo"

che vede un esaurimento imminente del petrolio, né con gli esperti alla Daniel Yergin secondo cui l’innovazione tecnologica ci consentirà di valorizzare nuovi giacimenti e di spostare più in là il giorno dell’"ultima goccia". Tutto questo non gli sembra troppo rivelante, come spiega quando lo incontro al World Affairs Council di San Francisco.

Come si fa a evitare di schierarsi con i profeti dell’esaurimento imminente delle risorse, o con gli ottimisti del progresso tecnologico?
"Basta scegliere un orizzonte temporale un po’ più lungo, per esempio due secoli. Nell’arco di vita della nostra Terra equivale a un battere di ciglio; ma anche nella storia dell’umanità è un periodo breve: appena sei generazioni. A quel punto sarà iniziata l’Era post-fossile, su questo non c’è dubbio".

Davvero si possono escludere nuove scoperte di giacimenti finora ignoti, e nuove tecnologie che rendano economicamente sostenibili queste nuove estrazioni?
"È vero che sono state fatte nuove scoperte di giacimenti simil-petroliferi, per esempio nelle sabbie del Canada e del Venezuela. Ma lo U. S. Geological Survey ha dimostrato in modo inequivocabile che le nuove scoperte non saranno sufficienti a compensare il declino. Le riserve complessive dell’Arabia Saudita, per esempio, già entro sessant’anni entreranno in una "zona d’instabilità", e questo è un arco temporale che ci costringe a riflettere seriamente: riguarda già i nostri nipoti. È questo il problema che io mi pongo: esercito i miei studenti a interrogarsi su come vivranno i nostri discendenti".

La risposta lei la dà, com’è giusto, da scienziato della fisica.
"Spiego che non è immaginabile un futuro con aeroplani a batteria; per quanto migliori la tecnologia delle batterie ci sono delle leggi della fisica che lo impediscono. Così come non è pensabile l’aereo da trasporto a cellule solari, sempre in virtù di leggi fondamentali della fisica. Un carburante come il cherosene, usato oggi nei jet, ha caratteristiche ottimali di densità, efficienza energetica, sicurezza. A differenza dell’idrogeno che ha controindicazioni di pericolosità. In quanto al nucleare, il suo ruolo nell’equazione energetica del futuro sarà quello di un calmiere dei prezzi: qualora i costi di tutte le altre energie dovessero salire a livelli socialmente e politicamente inaccettabili, allora le opinioni pubbliche accetteranno di fare ricorso in parte al nucleare".

Di qui la conclusione del suo saggio: quando non potremo più derivare il cherosene o la benzina dal petrolio, dovremo fabbricarceli. Entra in gioco la nuova agricoltura, e anche a questa lei arriva usando le leggi della fisica.
"Sul nostro pianeta le piante hanno sequestrato CO2 dall’aria per milioni di anni. In quest’attività loro sono professionisti, noi siamo dilettanti. Perciò non ho dubbi: la risposta sarà l’agricoltura. Quando sarà finito l’ultimo giacimento di energia fossile, la nuova fonte sarà l’agricoltura, non qualche tecnologia da inventare".

I biocarburanti vengono prodotti già da tempo, con le controindicazioni che conosciamo: fanno concorrenza all’alimentazione umana, contendono gli stessi terreni coltivabili che servono a sfamarci.
"L’intera superficie attualmente arabile degli Stati Uniti non sarebbe sufficiente, se dovessimo riconvertirla solo ai biocarburanti, per darci l’autosufficienza nell’era post-carbonica. Perciò non possiamo pensare di uscirne con l’agricoltura tradizionale. Solo coltivando gli oceani e i deserti ci riusciremo. La tecnologia esiste già, è quella della sintesi sperimentata dalla Germania al Sudafrica, molto simile anche a quella che la Shell e altre compagnie usano per la conversione del gas naturale. Consentirà di produrre con l’agricoltura carburanti di sintesi con la stessa densità, efficienza energetica e sicurezza di quelli che oggi deriviamo dal petrolio. Ci saranno problemi politici da risolvere, come la sovranità sulle acque extraterritoriali e il ruolo delle correnti. Ma la vita continuerà, grazie all’agricoltura".

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